IO, PEYREFITTE

IO, PEYREFITTE IO, PEYREFITTE «Sono di destra, Mitterrand mi snobba» «Perché non mi danno il Premio Capri?» APARIGI MAREGGIATO, e prima del previsto, Roger Peyrefitte è rientrato da Capri dov'è di casa da decenni e dove avrebbe dovuto ritirare, il mese scorso, il premio omonimo. Ma quest'anno il Premio Capri pare essersi volatilizzato e rottandaduenne scrittore, celebre per un'opera che ogni volta ha suscitato scalpore, da «Les amitiés particulières» in cui raccontava il sorge • re dei costumi «particolari» in un collegio religioso, a «Les ammira particuliers», da «Les ambassades» in cui denunciava insieme ai segreti non edificanti del mondo diplomatico il tradimento delle idee di un giovane che non stava dalla parte dei vincitori, a «Les clefs de Saint Pierre», a «La solitane rouge» dove rappresentava vizi e misfatti di certi ambienti prelatizi evocando un marchese della «famiglia pontificia» che aveva per amante una guardia svizzera, fino al recentissimo «L'innominato» (Longanesi), se n'è tornato nella sua casa affacciata sul Bois de Boulogne. Qui, mobili, oggetti d'arte, libri vari rivelano l'estetismo sfrenato del padrone di casa ma anche il suo culto del '700 e la sua nostalgia del mondo classico, greco in particolare, compresa quella «passione per i ragazzi» di cui disserta tra l'altro Platone nel «Convito» e che è testimoniata da preziosi busti e teste di giovinetti imberbi, d'epoca neoclassica come la maggior parte dei dipinti. Preziosa e accuratissima, è anche l'apparecchiatura della tavola sulla qual- ci viene servito un frugale pranzo dal giovane cameriere portoghese: sulla tovaglia immacolata di finissima fiandra spiccano porcellane, cristalli e argenterie di grande pregio. «E' dnwero incredibile! — esclama subito Peyrefitte —. Solo in Italia succedono cose del genere. Purtroppo, l'Italia può seguitare a farmi questi scherzi perché l'amo troppo!». E tra un boccone e l'altro, ci racconta come sono andate le cose, ostinandosi a sfoggiare un italiano molto fluente ma un bel po' storpiato. «E' una tipica commedia in tre atti — inizia a dire Peyrefitte —. Primo atto: nel 1952 pubblico un romanzo, "L'exilé de Capri', tradotto più tardi da Longanesi col titolo "L'esule di Capri", in cui racconto l'avventura dello svedese Fersen che si ritirò sull'isola facendosi costruire una bellissima villa cui volle dare il nome Lysis in onore dell'omonimo dialogo di Platone ("Liside", che i testi scolastici citano come un dialogo sull'amicizia ma in realtà dedicato all'amore per i fanciulli, n. d. r.l. Purtroppo, oggi la villa appartiene a un turco stabilitosi in Messico che la lascia andare in rovina». «Secondo atto. Nell'autunno del 1987, per iniziativa del gallerista napoletano Lucio Amelio nasce l'Associazione culturale "Lysis-Capri" per salvare la villa grazie al contributo del Banco di Napoli. Sono eletto Presidente, nonostante io dichiari che, data la .aia età e la mia residenza a Parigi, una tale carica non può che essere onoraria». «Terzo atto: la nascita dell'associazione ha convinto il mio editore italiano, Longanesi, a ristampare "L'esule di Capri". Allora, l'associazione decide di assegnarmi il Premio per questo libro. Verso febbraio Longanesi scrive a Flammarion, uno dei miei editori in Francia, pregandolo di annunciarmi il premio e di chiedermi se sarei disposto a recarmi a Capri, in giugno, per ritirarlo. Dico di sì». «A giugno, arrivo a Capri dove Massimo Gargìa ha organizzato una grande festa in mio onore, ma del premio nessuno sa niente, come se me lo fossi inventato io. L'associazione non sa nemmeno i nomi della giuria! E neppure la Longanesi ne sa di più. A noi — mi hanno risposto all'ufficio stampa — la notizia l'ha data un membro della giuria, il giornalista televisivo Claudio Angelini. Ma poi non s'è fatto più vivo. Cercano il signor Angelini: è introvabile. Allora, dopo qualche settimana, come vede, sono tornato a casa». «E molto seccato...» «Dire il contrario significherei)- be dar prova di un cinismo ipo | crita e di un sangue freddo pato- | logico. Alla mia età, un premio non aggiunge nulla, ma mi fa piacere se me lo danno, soprattutto dopo avermelo promesso. Ciò che trovo insopportabile, di una leggerezza estrema, è il fatto di essere stato informato di una notizia e, al momento giusto, essere tenuto all'oscuro dei successivi sviluppi. E non è la prima volta che mi succede in Italia! Una decina d'anni fa, scrissero al mio editore che avevo vinto il Premio Città di Roma e che avrei dovuto ritirarlo personalmente. Tutto contento accettai, ma un mese dopo scrissero di nuovo per dire che la mia premiazione aveva provocato qualche malumore in certi ambienti legati alla Democrazia Cristiana e al Vaticano per cui non eia opportuno che io mi presentassi alla premiazione. Un membro importante della giuria, sarebbe venuto a Parigi a consegnarmi il premio. Ancora lo aspetto!». Non pensa che il suo ultimo libro, «L'innominato», abbia provocato una reazione analoga? Le cito solo una frase: «Nel 1987 Giovanni Paolo II ha pubblicato una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla pa¬ storale relativa agli omosessuali. La Chiesa non vuole farci fare sonni tranquilli. Mi chiedo se un'ossessione simile non derivi dal fatto che i papi si rendono conto di come l'insegnamento religioso sia il seminario delia pederastia». «Io non sono né nemico della de né nemico della Chiesa cattolica. Sono un uomo libero. Scrivo la verità che ho sotto gli occhi e quello che penso. Inoltre, tra i preti e i monsignori ho molti amici. Che l'educazione impartita nei collegi religiosi e nei seminari sia propedeutica all'omosessaulità, più o meno sublimata, non è una cosa nuova. Io ho sempre rispettalo la Chiesa, anche se non sono credente e anche se ci tengo ad evere una cerimonia religiosa per la mia sepoltura. Ma come, lei che è un adoratore di Voltaire? «Sì, sono d'accordo con Ernest Renan quando sostiene che la religione è una parte essenziale della nostra civiltà, al pari dell'aristocrazia. Sono i nobili e i religiosi che sono stati maestri di civiltà per gli altri. Il mio rispetto verso la Chiesa deriva anche dal fatto che ho avuto una madre religiosissima che andava in chiesa due volte al giorno, non per bigottismo ma per una grande fede. L'ho capito a fondo solo quando l'ho vista morta, ed è allora che per pur non avvicinandomi alla religione ho cambiato il mio atteggiamento ne ho parlato in "La mort d'une mère» (La morte di una madre, n.d.r.), e ho deciso di restare fedele, almeno nel rispetto, ai suoi insegnamenti, nonostante le mie abitudini "riprovevoli". Questo ha provocato una situazione curiosa. Sapendo che faccio dire delle messe per mia madre, alcune signore molto pie si sono messe in testa di convertirmi e di farmi fare una morte cristiana, e così mi scrivono in continuazione. Ma le deluderò, poverette». Forse «L'innominato» ha deluso chi sperava che un premio l'incoraggiasse sulla via del ravvedimento? «Ah, non lo so. E' certo che nonostante il mio successo presso il pubblico, seguito ad essere tenuto in disparte, come l'esule di Capri. Anche qui, mi aerilo tenuto in disparte; sono l'esule di Parigi e al mio terzo volume di quaderni segreti ho dato il titolo del personaggio manzoniano perché esprime bene la mia situazione. I miei grandi amici scrittori, Gide e Montherlant, nei loro diari nemmeno mi hanno nominato, e, pur essendo un fuoriclasse della letteratura francese, le autorità ufficiali mi ignorano per ragioni di conformismo. Mitterrand, che è un uomo di cultura, non mi ha invitato il 14 luglio all'Eliseo, lui si circonda di ' scrittorelli..."». Non vi siete mai incontrati? «Sì, sono andato una volta all'Eliseo, aii'inizio del suo primo settenato, perché l'attrice Alice Sapritchn, che veniva decorata con la Legion d'onore, mi aveva indicato come uno dei dieci ospiti che aveva il diritto di invitare, in quell'occasione, mi avvicinai al Presidente e lo ringraziai perché aveva consentito che fossi invitato nonostante io non fossi un suo elettore e non I lo avessi risparmiato in uno dei miei libri ("L'illustre écrivain" romanzo in cui si allude a Fran- i cois Mauriac n. d. r.). "Lei — mi ha risposto Mitterrand — si fa perdonare i suoi frizzi perché possiede una cosa che neppure dei grandi scrittori come Balzac possiedono: lo stile". "E neppure scrittori come Malraux — ho detto io". Allora, lui ha esclamato: "Ma Malraux, io non lo considero nemmeno un scrittore!". Poi s'è ripreso un po' preoccupato di questa esclamazione ed io gli ho promesso che avrei aspettato sette anni per scriverlo". Ecco i miei rapporti con il potere». Lei è considerato un intellettuale «di destra». L'etichetta corrisponde alla verità o no? «Passo per un uomo di destra anche se le idee che esprimo nei miei libri, soprattutto quelle sulla morale e sulla religione, sono più vicine a ciò che pensa le gente cosiddetta "di sinistra". Ma, pur essendo uno scrittore segregato, mi accorso che sono letto in ogni ambiente. Da un'inchiesta svolta un paio di anni fa dal "Figaro magazine" è risultato che i comunisti preferiscono leggere me piuttosto che Hervé Bazin vincitore del premio Lenin. E' vero che le mie idee corrispondono alle idee cosiddette "di destra"; ma la mia reputazione di uomo di destra deriva dal fatto di aver appartenuto al Corpo Diplomatico durante l'occasione, il che mi ha valso l'accusa di "collaborazionista"». «In effetti, ero uno dei diplomatici che rappresentava il Governo del Maresciallo Pètain a Parigi ma non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi per cui non debbo rendere conto a nessuno. Questo fatto seguita a pesare sulla mia vita: la Francia, ancora oggi, è divisa in Resistenti e Collaborazionisti. Ancora! Era una bella occasione, 3u e si a del 14 luglio per parlare ei diritti dell'uomo, per dire come stanno le cose nella realtà! Comunque, per me essere dalia parte di vinti, come Catone, è un motivo di gloria dal momento che gli dei stanno sempre dalla parte.dei vincitori». Sarà cosi anche per il Premio Capri? «Chissà...». Paola Decina Lombardi Roger Peyrefitte, $2 anni, union' de •■/. 'Innominato»