Lampi e fragori di battaglie a Palazzo Pitti

Lampi e fragori di battaglie a Palazzo Pitti In mostra dipinti sconosciuti tra XVII e XIX Secolo, provenienti dalle collezioni dei Medici Lampi e fragori di battaglie a Palazzo Pitti Cavalieri all'assalto nella Guerra dei Trent'anni PFIRENZE OLVERE, sangue, cavalli scalpitanti, paesi incendiati: le immagini si dipanano drammatiche in contrasto con l'atmosfera tranquilla e ovattata delle sale di Palazzo Pitti. Sono battaglie dipinte dal Diciassettesimo al Diciannovesimo Secolo. Una mostra insolita, poco reclamizzata, ma di qualità, ne presenta (sino al 30 settembre) una quarantina, quasi tutte sconosciute, provenienti dalle gallerie fiorentine ed un tempo appartenute ai Medici. Si inserisce in quei filone di recupero e riscoperta dell'antico patrimonio mediceo e lorenese, che ha prodotto in questi ultimi anni rassegne di spicco, da Raffaello ad Andrea de! Sarto, dai quadri floreali a quelli olandesi del 1600 sino alle pietre dure. L'occasione ò nata dal restauro di due grandi tele, rimaste per decenni nei depositi e restituite con una data intorno al 1656 a Jacques Courtois detto il Borgognone, considerato il maggiore pittore di battaglie europeo. Rappresentano, secondo una ricostruzione attendibile dei luoghi, due episodi della Guerra dei Trent'anni, le battaglie di Lutzen ( 1632) e di Nòrdlingen (1634). Ordinate da Mattias de' Medici, che vi aveva partecipato a sedici anni, facevano parte di un gruppo di quattro insieme alla Presa di Radicofani e la Battaglia di Mongiovino (della guerra di Castro, 1640-1641, tra il Papa ed i Granduchi di Toscana), conservate agli Uffizi. Il restauro ha rivelato la sigla «I.C» e caratteri sorprendenti: grande realismo, attenzione capillare ai particolari, visioni scenografiche di ampio respiro. Motivi sufficienti a spingere Marco Chiarini, curatore della mostra e direttore di Palazzo Pitti, ad indagare in questo genere poco esplorato, riunendo (e restaurando) i migliori dipinti di battaglie commissionati dai Granduchi e famiglia. Si delinea cosi un doppio panorama — anche se da approfondire — quello del gusto collezionistico dei Medici e quello della pittura di battaglia, rappresentata quasi sempre da artisti specializzati che si alternano a Palazzo Pitti e nelle ville. I Medici e poi i Lorena furono, si sa, grandi collezionisti di miniature, pitture, sculture italiane e straniere. Ma quando cominciarono a far dipingere battaglie? Un soggetto fondamentale, del resto, per esaltare le imprese familiari. Forse all'inizio del Milleseicento con Ferdinando I, che fa affrescare al fiorentino Bernardino Poccetti su un'ala del palazzo, proprio quella dove oggi c'è la mostra, le conquiste della città di Prevesa in Albania (1605) e della fortezza di Bona in Algeria (1607), condotte durante il suo regno dall'Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, fondato dai Medici: le possiamo ammirare su pareti e soffitti. Certamente col figlio Cosimo II il genere si fa strada nelle collezioni. Cosimo II crea una vera e propria galleria di pittura e scultura, con prestigiose opere di Raffaello (la famosa Velata), Andrea del Sarto, Guercino, Empoli. Introduce opere di pittori nordici, ma è anche affascinato dalle Battaglie di cavalieri antichi di Filippo Napoletano (1590 circa - 1629), paesaggista legato ai fiamminghi-romani, che invita a corte dal 1617 al 1621. Battaglie tra il mitologico e ld storico, come le due che incontriamo quasi ad apertura: un piccolo rame, pagato al pittore nel 1617, ispirato alla corrente «eroica» o «all'antica», da Raffaello al Cavalier d'Arpino, ed una tela con una città in fiamme (Troia?), nutrita di ricordi nordici da Jan Brueghel dei Velluti. Gli piacciono anche le irruenti, aggrovigliate Battaglie contro i turchi, che sottolineano il ruolo dei Medici difensori della cristianità, di Antonio Tempesta, artista formato a Firenze con Vasari e Stradano e poi attivo a Roma soprattutto come incisore. Le due tele, esposte per la prima volta, sono tra le rare note dell'artista, regalate nel 1633 da Ferdinando li, figlio di Cosimo II allo zio Giancarlo «quando si cavò il sangue», come racconta un curioso documento. Le simpatie di Ferdinando II, altro grande collezionista vissuto dal 1610 al 1670, sembrano infatti andare a Salvator Rosa, il pittore napoletano che si ferma otto anni presso i Medici dal 1640: a lui ordina una Grande battaglia tra turchi e cristiani. Firmato «Saro» il suggestivo e splendido dipinto, che spicca su una parete, con il ritratto del pittore in basso a sinistra e dettagli crudi immersi in sognanti rovine classiche, crea un modello che farà scuola al Borgognone e compagni. A quest'artista francese dal la vita agitata (quasi impazzito d'amore e di gelosia per una bellissima moglie italiana che forse avvelena nel 1654) e che lavora a più riprese a Firenze per i Medici, si ri...<ige Mattias. Il battagliero fratello di Ferdinando II, terzogenito di Cosimo II e Maria Maddalena d'Austria, non solo partecipa alle guerre (dei Trent'anni e di Castro), ma le descrive minutamente vent'anni dopo al pittore che le immortala sulle tele destinate alla Villa di Lappeg- Bn'taglie vive, col sapore della cronaca, che si staccano decisamente dalla tradizione eroica, ben olire Salvatore Ro sa. Quadri affascinanti con particolari macabri, come gli impiccati sulla forca nella battaglia di Lutzen o poetici come i mulini a vento nello stesso pa saggio. Il Borgognone crea addint tura una voga, in margine alla guerra dei Trent'anni: non solo le gallerie dei Medici, ma al¬ tre raccolte del 1600 e 1700 si riempiono di suoi dipinti. E diventa così famoso che i pittori che lo seguono nel secolo finiscono per passare sotto il suo nome. Ecco un altro degli intenti della mostra, scoprire le varie personalità confuse con la sua e restituire loro, nomi e dipinti. Riemerge così il polacco Pandolfo Reschi (1630/16401696), il miglior seguace, distinto dal maestro per i toni più chiari e sfumati. Autore di paesaggi, figure e battaglie di cavalleria come le quattro esposte, era . particolarmente apprezzato dal cardinale Francesco Maria, nipote di Mattias, che gli aveva commissionato per la villa di Lappeggi le copie delle quattro celebri battaglie combattute dallo zio e dipinte dal Borgognone. Riemergono lo sconosciuto senese Giuseppe Pinacci, i veneti Antonio Calza e Matteo Stom, Francesco Monti detto «il Brescianino delle battaglie», presenti con vari dipinti. Li aveva chiamati tra il 1600 e 1700 il Gran Principe Ferdinando, figlio di Cosimo III, instancabile viaggiatore mecenate, passato alla stona per aver fatto razzia di quadri nelle chiese fiorentine e del resto d'Italia «incantando la zente con danari» come scriveva il Boschini. Un po' meno rappresentati gli epigoni settecenteschi, dal parmense Francesco Simonini, di cui si possono vedere opere anche nella mostra in corso al museo Bardini, «Armi e armati», al tedesco Christian Reder detto «monsù Leandro». Fino agli ultimi esempi nell'800 come in quel piccolo olio su lastra metallica di Massimo d'Azeglio, firmato e datato 1845: un gruppo di cavalieri che assaltano un fortino su un grande sfondo di paese e ricordano che siamo ormai al Risorgimento e la pittura di battaglie deve cedere il passo a quella di storia. Maurizia Tazartes Giuseppe Pinacci: una «battaglia di cavalleria», prima attribuita al polacco Reschi (Prato, Cassa di Risparmi e Depositi) G. Pinacci: «Dopo la battaglia» Sopra il titolo, una scena dipinta dal tedesco Christian Reder detto «monsu Leandro.