Ho visto i tedeschi fuggire all'Ovest

Ho visto i tedeschi fuggire all'Ovest Tra i boschi di Sopron, al confine Ungheria-Austria, il «campo base» prima del balzo verso Vienna Ho visto i tedeschi fuggire all'Ovest Abbandonano auto e tende, sfidando le spie della Ddr Ma le guardie magiare hanno l'ordine di non sparare SOPRON DAL NOSTRO INVIATO Decine dì tende e di automobili con la targa DDR giacciono abbandonate nei campeggi, nelle radure tra i boschi e al margine dei canneti tutto intorno alla cittadina ungherese di Sopron, il cui territorio si incunea in Suello della provincia austriaca el Burgenland. Sono le vetture e le tende lasciate dai tedeschi della Germania comunista venuti in Ungheria con il pretesto di passarvi le vacanze e poi fug- !;iti in Austria per raggiungere a Germania Federale. Tutta la linea di confine è un cimitero di automobili con macchie di colore delle carrozzerie in mezzo al verde della boscaglia. Una volta qui c'era la «cortina di ferro», un triplice reticolato di filo spinato attraverso i colli alti fino a 500 metri a Sud di Sopron, dei campi coltivati a Occidente, e tra gli acquitrini del lago di Neusiedl, a Nord. C'erano sempre sui sentieri pattuglie armate a piedi e sulle torrette metalliche presidi di guardie di frontiera con mitragliette, binocoli e fotoelettriche. Le torrette esistono ancora, ma da quando il governo di Budapest ha deciso in maggio di smantellare la cortina di ferro, non sono più vigilate: ora in qualche posto si passa. Nella Germania comunista milioni di persone lo hanno visto alla televisione e ben presto molta gente ha cominciato ad affluire dalle parti di Sopron. Negli ultimi giorni l'esodo ha assunto dimensioni di fuga collettiva. Lunedì in coda dinanzi al consolato della Germania Federale nella Reisnerstrasse a Vienna, i tedeschi orientali fuggiti e in attesa del foglio di viaggio e del biglietto ferroviario verso il campo di raccolta di Giessen, presso Francoforte, saranno stati 140-150, ieri erano quasi 200, quasi tutti giovani operai e operaie tra i 20 e i 25 anni. «Questo è il comunismo, lo scriva — dice uno —. Questo succede a quarantanni dalla fine della guerra, che si debba lasciare tutto per poter vivere liberi». «Non è stato come bere un bicchier d'acqua — racconta un giovane imprenditore, proprietario di una segheria a Erfurt, fuggito con i due figli, l'uno di 6, l'altro di 4 anni —. Avevamo una paura terribile che gli ungheresi ci sparassero addosso. Ci hanno visto certamente quando ci hanno illuminato con le loro fotoelettriche, hanno anche sparato ma in aria. Abbiamo anche sentito abbaiare due cani, ma non li hanno liberati. Tre ore e mezzo è durata la nostra fuga al buio attraverso il bosco, se avessero voluto avrebbero facilmente potuto fermarci». Altri confermano: uno che con la fidanzata è passato un po' a nuoto un po' a guado attraverso il lago di Neusiedl e ha toccato la sponda austriaca proprio dinanzi alla tri- buna teatrale a Morbiseli, dice: «I soldati ungheresi ci hanno ben visto, non potevano non vederci, eravamo a 50 metri da loro. Ma hanno guardato dall'altra parte». Fino a pochi giorni fa i soldati ungheresi avevano l'ordine di sparare contro chiunque venisse sorpreso a fuggire verso l'Austria. Ma un fatto è certo: nessuno in più dì due mesi con forse più di 1000-1500 persone che sono fuggite, è mai stato ferito. Qualcuno dei fuggiaschi, impaurito, si è arreso, è stato arrestato, rimandato nella DDR con foglio dì via obbligatorio. Il grave era che sul passaporto veniva apposto un timbro nel quale si legge che il titolare viene espulso perché «ha violato le leggi ungheresi» Al ritorno nella DDR ciò comporta una condanna per tentato espatrio clandestino. Ma ora, dopo un intervento dei ministro degli Esteri di Bonn, Genscher, il temuto timbro infamante non viene più messo sul passaporto. Il governo di Budapest ha dato alla polizia di frontiera ordini precisi: uno, non sparare; due, non bloccare fisicamente i fuggitivi, soprattutto quando si tratta di famiglie con bambini; tre, l'espatrio clandestino dall'Ungheria da parte di stranieri non è un reato grave come l'ingresso clandestino nel territorio ungherese. Insomma, nell'Ungheria della perestrojka avanzata, la fuga dal socialismo reale vie- ne tollerata. Gli ungheresi raccontano che questi tedeschi dell'Est fanno grandi passeggiate e sempre dalle parti della frontiera. «Ogni giorno la stessa cosa — lamentano a Ozon —. Poi, un bel mattino, non li troviamo più. Hanno abbandonato la macchina e la tenda a occupare spazio che nessuno paga. Ma ora basta. Quando i tedeschi escono dal campeggio devono lasciarci le chiavi della macchi¬ na oppure parcheggiare fuori dal campo». Un ingegnere con moglie e figlio quindicenne guarda con affetto la sua automobile Wartburg nuova, che ha pagato 32 mila marchi orientali (pari a due anni del suo stipendio) grazie a una eredità. «Mi dispiace un po' di abbandonarla, ma la libertà non ha prezzo» dice. L'ingegnere è calmissimo. Si sta guardando in giro, studia la topografia, ha già trovato un var¬ co; una dì queste notti partirà. «Ci rivedremo a Vienna». Ma rifiuta dì dirmi il suo nome. E, come tutti gli altri, non permette assolutamente di farsi fotografare. Ci sono in giro troppi agenti della «Stasi», la polizia dì Stato della Germania comunista, venuti in Ungheria mimetizzati da campeggiatori, pronti a denunciare i fuggitivi alle guardie di frontiera magiare. Tito Sansa Klaus Grunwald, tedesco-orientale, approfitta del passaggio di un'auto per entrare nell'ambasciata di Bonn a Berlino Est

Persone citate: Klaus Grunwald, Ozon, Tito Sansa Klaus