Ricchi senza l'atomo

Ricchi senza l'atomo Il futuro delle centrali dopo il no al nucleare: l'Italia collauderà le tecniche di spegnimento e le esporterà Ricchi senza l'atomo Smantellare può divenire un business ROMA DAL NOSTRO INVIATO E' morto il nucleare? Viva il nucleare sembrano dire i tecnici dell'Enea. Per l'aEnte nazionale di ricerca e di sviluppo dell'energia nucleare e energie alternative» la messa a punto delle tecnologie e delle procedure necessarie per decommissionare in sicurezza le nostre centrali elettronucleari 'potrebbe trasformarsi alla lunga in un business internazionale da migliaia di miliardi, visto che in linea di massima, secondo uno studio dell'Enel, per smontare un impianto si spende un terzo del costo di costruzione. Perché? Spiega il dottor Mario Conti, responsabile del progetto smantellamento impianti: «Gli italiani sono i primi al mondo a dover pianificare l'azzeramento di tutte le centrali di potenza e le esperienze che acquisiranno inevitabilmente formeranno esperti del settore e provocherano una ricaduta tecnologica sull'industria nazionale». Al quartier generale dell'Enea, in viale Regina Margherita 125, ne sono sicuri. Il decommissioning, che sta appunto per smantellamento, è un problema che presto o tardi interesserà anche gli altri Paesi industrializzati perché le centrali atomiche di qualsiasi potenza si esauriscono dopo circa 40 anni di esercizio: nel 1979, secondo un rapporto della Cee, gli impianti in «pensione» in Euro¬ pa e negli Usa erano soltanto 5, oggi sono almeno 17; nel 2000 saranno presumibilmente oltre 50. Già oggi la questione esiste, comunque, per tutti, ma c'è la tendenza a differire la soluzione nel tempo, in attesa di tecnologie meno costose. Le tecniche che gli italiani dovranno inventare e sperimentare per il decommissiona mento di Caorso, Trino, Garigliano e Latina, sono molte «poiché ampio è il ventaglio delle azioni da compiere per rimuovere il materiale radioattivo di una centrale e restituire all'uso incondizionato il sito su cui sorgeva». Robot e laser Aggiunge il dottor Conti: «Bisognerà necessariamente sviluppare la robotica per gli interventi remotizzati, studiare l'impiego laser di potenza per demolire le pareti di cemento armato e sezionare i vari impianti, sviluppare sistemi di lavaggio chimico del materiale irraggiato e, cosa non da poco, a operazione conclusa, studiare lo smaltimento e la gestione dei rifiuti e delle scorie radioattive sempre nell'ordine di centinaia di tonnellate». «Un'impresa quasi pari alla progettazione ex novo di una centrale» Sul decommissioning sono poche le esperienze acquistile in campo internazionale e sempre su reattori sperimentali o di piccola potenza con la produ¬ zione di una modesta quantià di rifiuti radioattivi, quasi sempre cementati e trasportati in un luogo sicuro come i deserti e le miniere abbandonate. Ma altra altra cosa è demolire dopo 9 anni di esercizio una centrale tipo Caorso da 850 megawatt e per la cui costruzione sono stati impiegati 200 mila metri cubi di cemento, 28 mila tonnellate di tondini, installati macchinari per 4300 tonnellate e montate oltre 4 mila valvole. Per l'Enea che da parte sua deve anche pensare a liquidare i laboratori con i reattori nucleari sperimentali, non è comunque un problema essenzialmente tecnico anche se legato a procedure ancora da inventare. «E' una questione politica, legata ai finanziamenti e alla scelta dell'obiettivo fra le tre opzioni oggi possibili per decommissionare un impianto atomico, piccolo o grande che sia». Sono tre i livelli praticabili di smantellamento che corrispondono all'impiego di diverse tecnolgie e alla disponibilità di capitali. Li spiega il dottore Franco Pozzi, direttore a Saluggia dell'impianto per il ritrattamento dei combustibili irraggiati, l'«Erurex»: <iSi può scegliere fra la chiusura della centrale in condizioni di sicurezza dopo avere rimosso il combustibile nucleare e tutti i fluidi di processo (la procedura già attuata per Garigliano e Latina), oppure procedere allo smantel¬ lamento parziale confinando sotto una colata di cemento o dietro opportune schermature le parti radioattive. Infine c'è il decomissionamento totale con il trasferimento in altro luogo di tutti gli impianti e dei rifiuti radioattivi fino a restituire la zona all'uso civile». Moratoria di 50 anni Non c'è, dunque, altra strada da seguire se si vuole togliere di mezzo il nucleare in un Paese che, come afferma il dottor Conti, «ha progettato le centrali senza pensare che un giorno dovevano essere smantellate». Sui tempi di intervento ci sono però diverse opinioni. Il decommissioning si può fare subito, tuttavia gli esperti intemazionali consigliano generalmente dopo la disattivazione una moratoria di 30-50 anni: è un periodo ralativamente breve, ma sufficiente per ottenere l'abbattimento naturale del 50 per cento della radioattività nei materiali contaminati («il cobalto ogni 5 anni si dimezza»). E con la riduzione dei rischi diminuiscono inevitabilmente i costi di intervento in sicurezza per l'uomo e l'ambiente: «unica condizione mantenere sotto sorveglianza il reattore e tutte le infrastrutture collegate per non perdere la conoscenza diretta dell'impianto». Emanuele Monti COSI' SI SPEGNE UNA CENTRALE CHIUSURA TEMPORANEA. 11..,„^,„ ALCUNI SISTEMI mW^lÉtitifl$8,i IN FUNZIONE. E' RICHIESTA UNA SORVEGLIANZA CONTINUA. SMANTELLAMENTO PARZIALE E ^ CONFINAMENTO DELIE PARTI FW OMTIVE RESTANTI LA SORVEGLIANZA E ANCORA NECESSARIA, ANCHE SE IN MODO DISCONTINUO. 3 SMANTELLAMENTO TOTALE. I MATERIALI, LE ATTREZZATURE, I COMPONENTI RADIOATTIVI DELL'IMPIANTO „ VENGONO TRATTATI COME "RIFIUTO RADIOATTIVO". NESSUNA SORVEGLIANZA

Persone citate: Ancora Necessaria, Emanuele Monti, Franco Pozzi, Mario Conti

Luoghi citati: Caorso, Garigliano, Italia, Latina, Roma, Saluggia, Trino, Usa