«Rai, acqua alla gola»

«Rai, acqua alla gola» Perché Manca ha bisogno di trovare subito 266 miliardi «Rai, acqua alla gola» Senza una certezza sulle risorse l'ente teme un collasso Liberali e repubblicani: prima si devono ridurre sprechi e inefficienza ROMA. Perché la Rai ha bisogno di 266 miliardi? Anzi, perché ne ha talmente bisogno che il presidente Manca e il direttore generale Agnes hanno addirittura sollecitato il tempestivo intervento di Andreotti? La ragione tecnica è semplice. Il bilancio preventivo per il 1989 è di 2580 miliardi. Le entrate previste arrivano a 2314 miliardi (1464,4 di canone e 849,5 di pubblicità). Per far tornare i conti e lasciare immutato il programma delle attività, mancano appunto 266 miliardi. Ma questo non sarebbe poi troppo grave, dicono i dirigenti della Rai. Del resto hanno già previsto di ritoccare qua e là le attività dell'azienda (i programmi, però, non si toccano) nel caso che i soldi non arrivino, oppure arrivino solo in parte. Certo — dicono — può sembrare irrazionale contenere la spesa proprio quando la Rai attraversa il periodo più fulgido degli ultimi dieci anni. Ma come dice lo stesso Manca: «Tutto si può fare per far quadrare un bilancio, anche abolire un'orchestra o ridurre lo spazio televisivo alla mattina». Il vero motivo che ha spinto lui ed Agnes a scrivere ad Andreotti non è tanto la somma in sé, quanto l'assoluta incertezza sulle risorse di cui disporre. «Si decida quel si vuole, ma si decida — dichiara il presidente della Rai —. Ci sarà l'adeguamento del canone o non ci sarà? Il tetto pubblicitario sarà alzato, oppure no? Questa eccezionale precarietà non è più sostenibile per l'azienda». L'incertezza degli incassi è tanto più preoccupante — ricorda Manca — in quanto la Rai si trova a dover fare grossi investimenti in campo tecnologico per reggere il passo con la concorrenza all'estero, nonché uno sforzo aggiuntivo per la creazione del centro media previsto per i Mondiali '90. Che cosa chiedono i dirigenti della Rai ad Andreotti? L'aumento del canone — dicono — è un atto dovuto. La legge prevede che venga adeguato all'aumento dell'inflazione e invece è rimasto fermo al 1° luglio 1987. Portarlo in linea adesso, così tardi nell'anno, sarebbe ingiusto nei confronti dell'utente. Una soluzione possibile sarebbe un incremento parziale per l'89 e la promessa di una maggiorazione all'inizio del 1990. La Rai chiede anche ad Andreotti che venga stanziato un fondo speciale dal quale attingere per la costruzione del centro stampa a Grot t a rossa, nella periferia di Roma. Il preventivo è di 400 miliardi e questa spesa — dicono i dirigenti — grava non poco sul bilancio dell'azienda. Ma alcuni esponenti politici — soprattutto liberali e repubblicani — hanno chiesto se la Rai non farebbe bene a ridurre gli sprechi e l'inefficienza prima di chiedere più soldi, scomodando addirittura il presidente del Consiglio e facendo tanto rumore per questo fabbisogno scoperto di 266 miliardi. L'aneddotica è del resto molto ricca: ingaggi da capogiro, miliardi spesi in appalti per lavori che l'azienda è perfettamente capace di fare, quasi 14 mila dipendenti molti dei quali vegetano nell'azienda mentre centinaia di persone — anche amici, fidanzate, raccomandati politici — vengono ingaggiate con contratti a termine. C'è poi quella montagna di straordinari — circa tre milioni di ore — che viene spesso gestita da capi e capetti a scopi clientelari e che costa ormai all'azienda più di 70 miliardi all'anno. «E' vero che la Rai è spesso sprecona, che ci sono sacche di inefficienza, che l'azienda crea nuovi settori ma non è capace di ridimensionare quelli vecchi», riconosce il consigliere di amministrazione Enrico Monchini (pei). «Ma quanto incidono veramente tutti questi sprechi su) bilancio dell'azienda? Se la Rai fosse gestita in modo draconiano, penso che riusciremmo a risparmiare al massimo 50 miliardi». Ma alcuni dirigenti arrivano anche a teorizzare l'utilità di un po' di spreco. Luigi Mattucci (psi), segretario generale del consiglio di amministrazione, sostiene che la ricchezza, la varietà, la flessibilità dei servizio pubblico «è anche in parte da attribuire al fatto che la gestione non è rigida come lo sarebbe quella di una società privata». Menduni dice che non arriva a sostenere tanto. «Ma anche se si riuscisse a ridurre drasticamente gli sprechi e l'inefficienza in Rai, non si risolverebbe il problema centrale dell'azienda e cioè la cronica incertezza sulle risorse di cui può disporre». Andrea di Robiiant Il presidente Manca col direttore generale Agnes I due dirigenti Rai hanno chiesto un aumento del canone (fermo al 10 luglio '87) e un fondo speciale per il centro stampa che servirà ai Mondiali '90

Persone citate: Andreotti, Enrico Monchini, Luigi Mattucci, Manca, Menduni

Luoghi citati: Roma