«Adesso basta feste, devo lavorare» di Vincenzo Tessandori

«Adesso basta feste, devo lavorare» Prima giornata a casa per Dante Belardinelli: dopo l'interrogatorio l'abbraccio con i dipendenti «Adesso basta feste, devo lavorare» Due mesi in prigione, mangiando pomodori e formaggio FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO La prima uscita è trionfale. Mezzogiorno e le campane di Santa Maria a Settignano suonano a distesa, quasi un saluto. Sorridente, le braccia alzate, il volto sereno ed ancora incorniciato dalla barba fluente. Dante Belardinelli supera il cancello della villa per il primo giorno «da libero», più di due mesi dopo essere stato preso dai banditi. Giovedì si era infatti bruciato in un convulso susseguirsi di avvenimenti: la liberazione da parte della polizia, il ritorno in famiglia, le due ore di deposizione ai magistrati che lo avevano voluto ascoltare subito «perché la memoria è fresca», il pranzo con quelli che lo avevano strappato ai rapitori («dopo due mesi passati a pomodori e pecorino») e la cena, lui e la moglie Mimma, soli. Finita la paura comincia ora la ricerca delle antiche abitudini, dei ritmi spezzati dal sequestro. «Sto bene, sto bene», dice. «Bene, ovviamente, dopo tutto quel tempo passato così...». Respira profondamente, si volta verso casa, sorride e sottolinea: «Certo è bello essere tornati. Dopo due mesi di assenza e di astinenza». Allarga le braccia e ride di cuore, ora. Gli chiedono di questa nuova prima notte e lui: «Ma sono cose segrete...». Lo sguardo è vivace, il ricordo della cattura, della prigionia, della catena, della tenda, delle minacce, della paura non sembra, per fortuna, averlo segnato troppo. Indossa giacca scozzese e pantaloni blu, sorretti dalle bretelle, camicia celeste. Si accarezza la barba e si infila in bocca un mezzo toscano. Prima che lo prendessero non aveva neppure i baffetti, ma ora gli dispiace farsi tagliare quello che sembra diventato un sepno distintivo. «Forse andrò anche dal barbiere, vedremo», sospira. E poi? «E poi in ferie per una ventina di giorni, ma qui vicino, in campagna, dove ho casa, tanto per stare tranquillo, e magari anche una corsa al mare, al Forte». La vita di sempre ricomincia così, con le cose più semplici. A chi è venuto a prenderlo, il re del caffé dice: «Corriamo subito in ditta, voglio abbracciare i ragazzi». Sale su un fuoristrada Nissan Patrol e chiacchiera fittamente con l'amico alla guida. Quando l'auto si arresta davanti al numero 3 di via Dogali, dalla torrefazione escono in tanti. «Come sta?», gli chiedono un po' impacciati i dipendenti, e lui pronto: «Bene». Stringe mani, bacia tutti, finché un anziano contabile si fa avanti: «Me lo fate abbracciare anche a me?». Belardinelli si volta, stringe a sé quell'uomo e stavolta gli occhi sono lucidi. Entra nel laboratorio ed indica ai cronisti un cartello sulla vetrina: «Divieto di accesso agli estranei al lavoro». Insomma, pare voler dire: da questo momento non sono più un personaggio pubblico (poi nel pomeriggio, alle 15,15, ha voluto a tutti i costi visitare i nuovi lo¬ cali della sua azienda, la Jolly Caffè, a Ponte a Ema, periferia di Firenze). Si festeggia il ritomo, nella torrefazione, e qualcuno corre subito a comprare paste e spumante. «Il ragioniere resta qui con noi», dicono felici. Tutto ricomincia per quest'uomo che pare aver sopportato assai bene i giorni della prigionia, meglio, forse, dei familiari usciti segnati da una prova che aveva rischiato di travolgerli. Mimma, la giovane moglie, appare tesa e davvero il tempo passato accanto al telefono in attesa di un cenno dei sequestratori sembra averla ferita profondamente. E poi c'erano stati i giorni interminabili dopo la sparatoria in autostrada fra gli uomini dei Nocs ed i banditi, quando la magistratura di Firenze aveva bloccato il pagamento del riscatto e lei aveva temuto che il mondo le cadesse sulle spalle. Una prova atroce, un'attesa che squassa. Anche adesso, intanto, la famiglia di Dante Belardinelli sta continuando a pagare due milioni e mezzo al giorno di interessi sulla somma avuta in prestito da vari istituti di credito per raggiungere i cinque miliardi richiesti dai banditi per il riscatto. «Ma ora tutto è sistemato, sono stati spazzati via anche tutti i vecchi malintesi», assicurano alla procura della Repubblica. Ma dimenticare così in fretta non è affatto facile, per qualcuno. E allora è meglio rimanere soli e ripetersi che tutto è davvero finito. Così ieri, quando verso le 11 un'amica della s'ignora ha bussato per una visita, dalla villa le hanno risposto: «Oggi non è davvero il caso». Quindi, a sera, la tensione si è allentata: un tuffo in piscina, un aperitivo. La casa è ancora sorvegliata dalla polizia, ina con discrezione perché tutti sanno che ora la cosa più importante è riuscire a dimenticare il più presto possibile. Soltanto un elicottero, in mattinata, aveva volteggiato per controllare un paio di volte sopra la valle, poi si era abbassato e Dante Belardinelli sulla soglia di casa aveva agitato il berretto da elicotterista ricevuto in dono l'altro giorno, quando l'hanno portato da Roma. Dimenticare. Dalla finestra della canonica don Carlo Bazzi osserva villa Belardinelli immersa nel verde, ne segue i ritmi e ripete: «Sono felice che sia finita così. E sono felice anche che le prime parole di Belardinelli siano state di ringraziamento a Dio. Sì, sono stato vicino alla famiglia e davvero non avrei mai immaginato una sofferenza così grande. In questo borgo la gente della campagna partecipa alla vita comunitaria ma quella delle ville vi partecipa meno: lui, però, era slato sempre molto sensibile per il paese ed i suoi bisogni, la casa del popolo, la chiesa, la squadra di calcio». Don Bazzi parla al passato. Perché? «Oddio, è vero, è finita bene e quasi non ci credo». Vincenzo Tessandori A Subito al lavoro. Dante Belardinelli davanti al nuovo stabilimento della sua azienda

Luoghi citati: Ema, Firenze, Roma