FABRO, IL CERCADIALOGO
FABRO, IL CERCADIALOGO FABRO, IL CERCADIALOGO Antologica a Rivoli fino al 17 settembre IL Castello di Rìvoli ospita una personale di Luciano Fabro che riassume l'attività dell'artista dal 1963 ad oggi, con circa venticinque opere. Non è facile accostarsi alle opere di Fabro, c'è qualcosa di sconcertante nella evoluzione del suo lavoro che rischia di mettere a disagio lo spettatore, quando non ne è inspiegabilmente affascinato. «Adotto lo scarabocchio di Lawrence Sterne» (è una linea sinuosa e spezzata che si articola liberamente in ogni direzione), dice Fabro, proprio per rivendicare la massima libertà nell'espressione artistica, che evidentemente significa anche libertà di sorprendere, o di aggredire, o di fare dell'ironia. Non si è mai soffermato a lungo su un motivo: quando crede di averlo interpretato, attraversato, filtrato a sufficienza, un altro è già l'occasione per proporre nuove soluzioni iconiche. Qualcuno lo ha voluto accostare agli artisti concettuali, soprattutto per certi suoi lavori degli Anni 60 nei quali più dell'opera in sé, acquistava significato l'«operazione» in atto, eppure non è vero perché Fabro non vuole sostituire l'opera d'arte con la semplice «idea». Ha lavorato vicino agli artisti «poveri» esponendo con loro in numerose mostre, eppure si sente come un piacere sensuale nell'uso di materie preziose (il cristallo, o il marmo, o le sete) o «ella ricerca a volte di un'eleganza barocca, che lo distingue da quelli. La verità è che Fabro rifiuta ogni stilt o moda ben definiti che rischiano di esaurire lo spirito poliedrico di un artista, ma vuol essere libero di «trovare una risposta flessibile all'espe- rienza del suo intimo che muta continuamente» (W. Oechslin). Il suo lavoro può essere capito attraverso quello che egli stesso dice: «Ho notato che tutte le novità del pensiero nascono con un dialogo. Non si stende la teoria, ma si tende a far nascere le cose con un dialogo». E così infatti possono esser lette quelle bellissime opere degli Anni 60: «Buco», per esem- pio, del '63, che articola un dialogo tra porzioni specchianti e porzioni trasparenti organizzate su una lastra di cristallo, cosicché ne deriva l'illusorietà della conoscenza. L'occhio percepisce una realtà che in alcuni punti oltrepassa il cristallo e in altri (dov'è lo specchio) riflette ciò che è alle sue spalle. 0 «Ruota», del '64, dove due figure geometriche in ottone, «minime», un cerchio e una linea, convivono l'una sulla altra creando una situazione di tensione, che ne altera l'essenzialità dell'insieme. Sempre più importante diviene poi il «dialogo» opera-spazio, dove l'una vive in relazione con l'altro, e viceversa. Tra le opere storiche, alcune «Italie»: una forma arcinota, una icona carica di significati simbolici, che viene proprio aggredita dall'artista, per esser riproposta come «cosa» ossia «forma qualsiasi», ogni volta diversa, ma, così, svuotata di tutti i suoi valori mitici o simbolici. - E anche ne «U giudizio di Paride», l'oggetto-uovo, che da sempre rimanda ad antichi simboli (si pensi al significato che assume in Piero della Francesca), diventa qui una forma bella ed essenziale, quasi un archetipo, tra il fisico e il metafisico. «Efeso», opera recente, gioca sul rapporto di tensione che c'è tra il blocco di marmo, che è poi la bocca del dio, e i cavi d'acciaio che lo tengono sospeso in aria, ma «per me il cavo ha il senso drammatico del "verbum", la parola legata. Un'arma che ti mette alla gogna, che t'impicca», spiega Fabro. Quale forza chiuderà la bocca del dio? Questa è una mostra da vedere, da meditare: l'arte acquista qui proprio un senso di iniziazione, per coloro che accettano di essere iniziati. Paola Malato Luciano Fabro, Castello di Rivoli, Museo d'Arte Contemporanea, fino al 17 settembre, orario di apertura 10-19; chiuso lunedì. «II giudizio di Paride» un'opera in terracotta di Luciano Fabro in mostra a Rivoli
Persone citate: Fabro, Lawrence Sterne, Luciano Fabro, Paola Malato, Piero Della Francesca
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