REVIVAL MARTINI

REVIVAL MARTINI REVIVAL MARTINI Omaggio allo scultore, un protagonista del Novecento Dopo Matera e Venezia, la rassegna di Aosta MENTRE il Museo Civico di Treviso, sua città natale, sta preparando per il prossimo ottobre una mostra dal titolo «Il giovane Arturo Martini» con 150 opere dal 1906 al 1920, è in corso al Centro Saint-Benin di Aosta la terza grande rassegna in Italia volta a celebrare il centenario della nascita dello scultore. A cura di Mario De Micheli e Claudia Gian Ferrari, su inizia w tiva di Janus, l'antologica, dal titolo «Arturo Martini - il gesto e l'anima» comprende 64 importanti opere dell'artista tra il 1920 e il 1947, anno della morte. Le altre due mostre celebrative sono rispettivamente aperte a Matera, nelle chiese rupestri, con un gruppo di opere del periodo tra «Valori Plastici» e gli anni estremi (a cura di Giuseppe Appella e Mario Quesada) in particolare articolate sugli Anni 30; e a Venezia, alla Fondazione Bevilacqua La Masa, con opere di pittura e di scultura degli Anni 40 (a cura di Nico Stringa). Questo grande fervore di iniziative e di studi su Martini, che ha avuto il suo avvio con la grande antologica a Palazzo Reale di Milano nel 1985, e che si concluderà con la mostra di Treviso, ha la finalità di riconsiderarne la personalità come una delle più alte del primo Novecento, figura chiave per la comprensione delle correnti artistiche successive. La mostra al Centro SaintBenin di Aosta accoglie un numeroso e interessante gruppo di sculture (18) comprese tra il 1920 e il 1922, anni della sua vicinanza al gruppo della rivista «Valori Plastici» diretta da Mario Broglio, sulla quale molte di esse sono state pubblicate. Questo periodo, analizzato da Flavio Fergonzi nel catalogo edito da Electa, tende a essere rivalutato come il più importante nell'iter dello scultore che, di origine contadino-artigiana e inizialmente allievo di maestri trevigiani, si era recato a Monaco nel 1909 in piena Secessione, dove fu scolaro di Hildebrand, avvicinandosi alle correnti tedesche del primitivo e dell'espressionismo. In seguito nel 1913 fu a Parigi dove, affascinato da Brancusi, iniziò a porsi il problema della purezza plastica. Il gruppo storico intorno alla rivista «Valori Plastici», la più importante in Italia negli anni tra il 1919 e il 1921, formato da Carrà, De Chirico, Morandi, Melli, Soffici, lo associò spesso in mostre collettive; mentre Broglio pubblicò sulla rivista soltanto fotografie delle sue sculture, e mai suoi scritti o esegesi. In particolare, Martini ebbe vicinanza con Carrà (che lo presentò a una personale a Milano nel 1920, di cui vi è in mostra un'opera, «Le Stelle») nella ricerca purista e mistico-arcaica delle forme. La restaurazione classica proposta dagli artisti di «Valori Plastici» ha innescato nel giovane Martini la sua stagione più felice. Ma la sua vicinanza alla tradizione — e ne fanno fede le bellissime opere esposte come «Busto di ragazzo» del 1920 e il «Poeta Cecov» del 1921 — non è rivolta tanto verso l'arte classica greca (come in De Chirico) ma verso la semplicità artigianale dell'arte etnisca. Con massima naturalezza, unisce la straordinaria capacità di articolazione delle forme nello spazio con l'essenzialità. Per Martini, l'arte è solo il risultato di uno sviluppo autonomo, che «cresce come un albero». In questo periodo nascono le sue soluzioni più nuove, attraverso le quali recupera forme del passato non soltanto etnische, ma romaniche e quattrocentesche (Laurana). Nei ritratti, l'iniziale tensione espressionista si placa in una inedita tipologia primitivista che fece esclamare a Ojetti sul «Corriere della Sera» del 1931: «...le stramberie di sue statue dal volto a palla e dalla bocca di pesce». Questo suo innato senso della plasticità, e la capacità eccezionale di sintesi, che lo portano a una semplificazione formale sempre più rigorosa, si rilevano specialmente nelle opere tra il '20 e il '34: in mostra vi sono alcuni suoi capolavori del periodo, in materiali poveri come la terracotta o il gesso dipinto: «Il dormiente», «Ofelia» e «L'amante morta». Crescendo la sua notorietà, Martini fu sempre più impegnato nelle realizzazioni monumentali del regime che gli consentùono a fatica di continuare l'incessante sperimentazione, che con grande intuizione ricercava nella semplificazione; senza ricorrere all'astrazione, rifiutata quale «comodo rifugio senza senso né sesso, buona al¬ la mistica ma non all'arte che è un fatto vivo e fisico». Il documento della sua crisi è il trattato «La scultura lingua morta» del 1945, una serrata critica della statuaria e la sua liberazione verso una scultura di «pure forme». Nella sua scrittura semplice, quasi biblica, brilla la visione di una nuova scultura cosmica, che «non sia rupe, ma acqua e cielo» e che «non sia un oggetto, ma un'estensione». Visione che avrà subito continuità in Lucio Fondana, che nel 1947 realizza il primo «Concetto spaziale», non più pittura né scultura, ma libera estensione nello spazio fisico. Mirella Bandirli Due sculture di Martini espóste ad Aosta I destra « Testa di medusa», sotto «Testa di Madonna»