QUELLA VALLE RITROVATA

QUELLA \ALLE RITROVATA QUELLA VALLE RITROVATA -wm "y PADULA [W ! ELLA Certosa di Paint I dula, si è inaugurata I Ma I sabato scorso la moI jtt I stra «Il Vallo ritrova- 1 «RI t0>>' 0rgamzzata dalla | ami Soprintendenza Beni WÈ Artistici e Storici di 1 ni Salerno, come spiega -A* VI il sottotitolo, è dedicata a «scoperte e restauri» in quella valle che s'incunea tra la Basilicata e il Cilento, dove scorre la «strada delle Calabrie». Si chiama Vallo di Diana, dall'antico nome di Teggiano, cittadina ove si trova il castello dei Sanseverino. Potentissimi feudatari degli Angioini, proprio Tommaso Sanseverino, Connestabile del Re di Napoli e nipote di S. Tommaso d'Aquino, vi fondò nel 1306 la Certosa. Leggendo i libri che raccontano la storia di tale monastero, s'incontra spesso la parola «faro». In effetti, fu sempre un centro assai influente sul piano culturale, economico e politico. Oltre al risanamento della valle, divenuta paludosa nel Medio Evo, vide crescere continuamente la sua importanza. Imponenti trasformazioni ne fecero una delle «chartreuses» più vaste d'Europa. L'opulenza dei monaci, dicono le cronache, «era tale da non sapere che si fare degli ammassati tesori», ricavati dai feudi acquistati, via via, in tutto il Meridione. Un fastp proverbiale se, per la visita di Carlo V, si fece una frittata di mille uova. Insomma, uno di quei luoghi emblematici della storia del nostro Sud. Ricordato anche perché, nelle sue vicinanze, fu sterminata la spedizione di Pisacane e vi nacque il detective Petrosino, nemico della «Mano nera» italo-americana. Un convento caduto poi nell'oblìo, con l'arrivo delle truppe napoleoniche. Un progressivo abbandono e inesorabile degrado, terminato quando, dopo molte lungaggini, le cure sono state affidate nel 1982 alla predetta Soprintendenza. La quale, insieme al restauro del monumento e ad un convegno internazionale sui Certosini, dette inizio ad una serie di mostre: da quella di Andrea da Salerno detto il «Raffaello napolitano» a quella su Francesco Guarino da Solofra, uno dei maggiori pittori del '600. La rassegna attuale delle opere d'arte, ritrovate e restaurate, dell'intera valle, prosegue quell'azione. Mettendo in luce un complesso di sculture, dipinti e arti minori ragguardevoli. Alcune, in verità, già note. Anche nel Vallo di Diano non siamo aìì'«hic sunt leones». Basti ricordare due mostre del dopoguerra. Cioè «Sculture lignee nella Campania», curata nel '50 da Raffaello Causa e Ferdinando Bologna, e «Opere d'arte nel Salernitano», curata nel '55 da quest'ultimo. Tuttavia, molte di esse costituiscono davvero una rivelazione. Conferma che le province del Regno delle Due Sicilie non furono una landa deserta. A parte la nobiltà, c'era una committenza ecclesiastica e un ceto medio che ordinavano opere per il culto privato. E i prodotti, fatti in situ o comprati a Napoli, erano di qualità notevole. A Teggiano lavorò Tino da Camaino, scultore prediletto dagli Angiò. E, come si può vedere nella mostra — dove troneggia il suo gruppo del «Compianto sul Cristo morto» — quel Giovanni da Nola, che fu uno dei protagonisti della grande stagione scultorea napoletana del '500. Frutto della «circolazione artistica mediterranea» che caratterizzò il Vicereame. Arricchita pure da apporti diversi. Ad esempio, per citare altre sculture lignee presenti nella mostra, gli Alamanni e relativa, fiorente bottega che, a metà del '400, come rivela il nome, calarono a Napoli e dintorni dalla Germania. Ma pure altre opere sono una sorpresa: dagli affreschi del Maestro della Pietà di Teggiano datato 1487 al dittico dipinto nel 1509 da Stefano Sparano, dal quadro anch'esso del 500 del Maestro di Massalubrense allo splendido armadio reliquario del XVll secolo della Parrocchiale di Buonabitacolo. Senza contare le numerose tele, fra cui di particolare rilievo quella del pittore abruzzese detto il Forlì, che alla fine del '500 fu il massimo divulgatore nel Sud della moda baroccesca. In conclusione, una mostra in tutti i sensi esemplare. La quale, come hanno ribadito nel bel catalogo, edito dalla Electa, i il Soprintendente Mario De Cunzo e i suoi bravissimi collaboratori, Vega de Martini e Francesco Abbate dell'Università 'di Napoli, è soltanto una tappa di quell'operazione, decisa e incisiva, iniziata appunto sette anni fa. Quando la Certosa di Padula è rinata e, come al tempo dei padri Certosini, è diventata di nuovo un «faro» di cultura, un punto di forza per la crescita del Meridione. [f. v.l