TELEFONO GIALLO LUNGO FILO DI PAURA di Maria Grazia Bruzzone
TELEFONO GIALLO LUNGO FILO DI PAURA TELEFONO GIALLO LUNGO FILO DI PAURA jf\É ROMA M ■ ASI censurati, casi riaH I perti, casi limite dove , I è in agguato il rischio \ m della forzatura scandalistica. Ma ci sono I anche i casi destinati a mt] I non diventare mai w / gialli televisivi perché ^L/ non ne possiedono i requisiti essenziali. Le regole della tv verità non sono meno ferree di quelle di qualunque altra finzione. «Per andare in scena non basta il delitto. Non basta la vicenda giudiziaria irrisolta. Bisogna che la vittima abbia avuto amici, parenti, protagonisti in grado di raccontare la storia e di essere a loro volta raccontati e messi in vetrina a lungo. Il morto solitario non fa spettacolo». «Telefono Giallo» diventa libro (Mondadori, pp. 294, L.25.000), sette storie di delitti quasi perfettL Con Corrado Augias andiamo a frugare dentro la popolare trasmissione che dopo le vacanze tornerà ancora una volta sugli schermi di Rai 3. Tutta qui allora la censura? Eppure si dice di molte storie non parlate perché dall'esterno arrivano delle pressioni. La polizia non vuole. I magistrati non gradiscono. Augias nega. «La polizia è tenuta ad aiutarci da un accordo col ministro degli Interni — ribatte —. Che sia entusiasta, non lo si può certo dire. Quelli che per noi e per gli spettatori sono gialli pieni di mistero, dal loro punto di vista sono degli insuccessi: dei casi rimasti aperti». Eppure una volta almeno censura c'è stata. «Fu il famoso caso Siani che tanto chiasso fece sulla stampa:. Carlo Siani, cronista del "Mattino", sparato a Napoli. Il procuratore generale di Napoli, dottor Aldo Vessia, viene praticamente accusato dal giudice istruttore di avere forzato i testi a parlare per avere dei colpevoli. Il processo si era aperto ed era in una fase delicata col procuratore che stava per confessare. Il presidente della corte di appello intervenne presso Agnes perché la trasmissione fosse sospesa. Noi obbedimmo al direttore generale. Del resto ne condividevamo la scelta». L'unica telefonata di minaccia, invece, durante le riprese del caso di Michele Vinci, accusato di aver ammazzato tre bambine a Marsala. «Mentre il nostro regista stava girando ricevette una telefonata che gli intimava di lasciar perdere. Ci rivolgemmo ai nostri consulenti nella polizia e la troupe ebbe protezione per tutto il tempo delle riprese. Non successe niente e la vicenda andò regolarmente in onda». Un'altra volta, ricorda Augias, fu l'autocensura a scattare. «C'era in ballo la storia di Alceste Campanile, il militante di estrema sinistra ammazzato a Bologna, con forti possibilità che Tassassimo fosse stato compiuto dai suoi stessi compagni. L'ambiente era una sorta di calderone dostqjevskiano dove avveniva un po' di tutto, dai sequestri di persona alle rapine. Stavamo per metterla in onda quando scoppiò il caso Sofri- Calabresi. Trasmettere quel caso proprio in quel momento — ci fecero notare ambienti dell'estrema sinistra — poteva sembrare una provocazione, la conferma che quei fatti accadevano davvero. L'osservazione ci convinse e decidemmo di rinviare. Là vicenda Campanile andrà comunque in onda regolarmente quest'autunno. Più che mai restiamo convinti che non ci sia argomento che un cronista non possa trattare, per preclusioni ideologiche, scrupoli morali o di altro tipo». Eppure tante volte canuninate sul filo del rasoio. «E'vero — non esita ad ammettere Augias —. Il rischio di scivolare nel morboso, alimentando quel "fascino trasgressivo" che accompagna ogni storia di sangue, è costante, per chiunque si occupi di "nera". Basta un dettaglio in più. Noi abbiamo toccato quel limite una sola volta, credo, con la storia di Palmira Martinelli, la ragazza pugliese di quattordici anni che si vorrebbbe suicida. La sorella che faceva la prostituta venne da noi e a un certo punto sollevò la gonna scoprendo l'anca che portava tatuato con la lametta "Enrico": il nome che il suo protettore aveva fatto incidere nella carne perché non si dimenticasse a chi apparteneva. Mi è sembrata una cosa di una ferocia così impensabile che le ho chiesto se se la sentiva di ripetere quel gesto in trasmisssione». Restano i casi che avete contribuito a riaprire. «Sono quelli di cui vado più orgoglioso, naturalmente, perché provano che al di là dello spettacolo il programma forse serve a qualcosa. Ustica per esempio, un caso che racconto anche nel libro. Fu la prima volta in cui mandammo in onda una telefonata anonima: diceva che i famosi nastri erano stati subito cancellati per ordine di un maresciallo. Una conversazione drammatica. Eppure, dal tono, dalle parole, non so dire perché, ma si capì subito che era vera». Maria Grazia Bruzzone La popolare trasmissione di Corrado Augias «Telefono giallo» ora è diventata un libro
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