MUSSOLINI MORI' COSI'

MUSSOLINI MORI' COSI' MUSSOLINI MORI' COSI' Incontro con il «compagno Bill» : ha pubblicato il diario La cattura del «duce», le misteriose borse e le fucilazioni E. S. GERMANO ^ VERCELLESE / uno degli ultimi testimoni di un cupo momento di storia: fu lui ad arrestare Benito Mussolini a Dorigo, in quel pomeriggio piovoso del 27 aprile 1945. Ora Urbano Lazzaro, 65 anni, vive con la famiglia a Rio de Janeiro (dove lavorava come dirigente della Snam Progetti), ma è tornato in Italia per un piccolo intervento chirurgico e per varare un libro che è un resoconto di quei tragici giorni: «Il compagno Bill Diario dell'uomo che catturò Mussolini» (Sei, pp. 175, L. 16.000). Una sequenza di azioni partigiane nella zona del Lago di Como, episodi raccontati in prima persona con stile scarno, fino all'incontro con l'autocolonna di tedeschi e fascisti che punta verso la Svizzera. Urbano Lazzaro era il «compagno Bill», vicecommissario politico della 52a Brigata Garibaldi. Ci accoglie in una villetta di paese che si affaccia sulla strada assolata. Ha una voce un po' stanca, ma la memoria nitida; cita personaggi, giorni, ore con la sicurezza di chi quegli avvenimenti li ha rigirati mille volte nella mente. Dice: «Questo è il mio diario integrale: ciò che ho fatto, visto, sentito. L'ho ricavato dalle mie annotazioni quo¬ tidiane di allora». E si lamenta perché in un altro libro del 1962 («Dongo, ultima, azione», Mondadori), firmato con il «compagno Pedro», ossia Pier Luigi Bellini delle Stelle, il suo materiale è stato manipolato: «Lui ha capovolto certe situazioni facendosi protagonista, si è preso i miei pensieri e le mie decisioni». Adesso queste pagine raccontano la verità del «compagno Bill». Ecco l'autocolonna J ferma presso Dongo, le trattative con i tedeschi che vogliono proseguire, le ispezioni ai veicoli, il grido del partigiano Giuseppe Negri: «Bill, gh'è chi el crapùn!». Lui sale sul camion e scopre un individuo con il cappotto e l'elmetto tedeschi. Lo chiama «Camerata!», poi «Cavalier Benito Mussolini!» e l'altro ha un sussulto. «L'uomo che ha fatto tremare il mondo... è li accosciato ai miei piedi, pallido, quasi senza vita...». Bill gli domanda: «Perché lei si trovava sul camion con i tedeschi?». Risponde: «Non lo so, mi hanno messo lì. Forse mi hanno tradito all'ultima ora». Lo portano in municipio, ha con sé una borsa di cuoio che depone su una cassetta di legno, alla sua destra. Poi arrivano i gerarchi Barracu, Pavolini, Casalinovo, Utimpergher, Paolo Porta e altri. Prenderanno anche Claretta Petacci, «una signora con pelliccia e turbante», e il fratello Marcello che dapprima viene scambiato per Vittorio Mussolini. Il diario non descrive le esecuzioni, ma vi affiora la diffidenza del «compagno. Bill» verso un nuovo arrivato, il colonnello Valerio, «rabbioso e fanatico», che vuole la consegna dei prigionieri per portarli via. Spiega Urbano Lazzaro: «Agivano senza mettermi al corrente dei loro progetti: eppure ero il vicecommissario della 52a. Sono convinto che il comando generale del CVL non ha mai dato ordine al colonnello Valerio di fucilare Mussolini, i gerarchi e la Petacci...». A che cosa attribuisce l'iniziativa di Valerio? «Fu una decisione personale e partitica». Incalza: «Il colonnello Valerio, quello che ho visto io a Dongo, non era il ragionier Walter Audisio, bensì Luigi Longo...». E fu lui a eseguire la fucilazione? «No, per quanto riguarda i giustiziati di Dongo la fece eseguire da un plotone comandato da Riccardo (Alfredo Mordini)». E Mussolini e la Petacci? «La vicenda è andata diversamente da come la si racconta. E' stato in un certo senso un incidente. Stavano trasferendo Mussolini da Bonzanigo ad Azzano per fucilarlo poi a Piazzale Loreto. Ma la Petacci si agita e grida: "Ben, ti vogliono uccide¬ re!". C'è un tafferuglio, partono due colpi, Mussolini resta gravemente ferito. La Petacci si getta su di lui: "Non potete ammazzarci così!". Valerio ordina a Moretti, cioè Pietro, di finirlo. E Moretti spara una raffica con il Mas francese. Anche la Petacci morirà lì, sulla strada, uccisa da un Thompson» Ma lei come fa a essere certo di queste cose? «Non posso rivelarlo per ora...». Che cosa conteneva la borsa che aveva Mussolini al municipio di Dongo? «C'erano quattro cartelle. Documenti che riguardavano il possibile espatrio di Mussolini in Svizzera; lettere e autografi di Hitler; atti del processo di Verona, con interrogatori e domande di grazia (e la scritta del duce: "non ricevute dal destinatario"). Infine rapporti di un agente su atti di pederastia di Umberto di Savoia». E denaro? «C'erano 160 sterline d'oro e un milione e 700 mila lire in assegni». La storia di altre misteriose borse si ingarbuglia, difficile seguirne il filo; una di esse «conteneva il carteggio Mussolini-Churchill, ma è scomparsa». Il tesoro di Dongo è costituito da queste borse? «No. Il cosiddetto tesoro di Dongo è costituito da un fiume di denaro, preziosi e documenti che comincia a Garbagnate, presso Milano, e distribuisce così i suoi depositi: un poco a Villa Mantero, a Como; gran parte a Musso e poi a Dongo; una piccola parte a Domaso; un'altra al Ponte del Passo; un'altra ancora, più consistente, a Villa di Chiavenna (frontiera svizzera)». Valori portati da chi? «Da Mussolini in fuga, dal prefetto Gatti, da ministri e gerarchi, dagli ufficiali tedeschi...». • E dov'è finito tutto questo denaro? «Quello di Garbagnate e Villa Mantero non lo so. Il restante (escluso quello di Villa di Chiavenna) è stato consegnato alla sede del partito comunista italiano di Como». Il valore totale? Urbano Lazzaro si interrompe. «Scusi un attimo, vado a prendere la nota». Torna con un foglio e comincia a elencare: «C'era il fondo riservato della RSI affidato al prefetto Luigi Gatti: un miliardo di lire in banconote italiane ed estere; più due zaini di lingotti e monete d'oro. Poi c'era un necessaire della Claretta Petacci con gioielli. Inoltre 35 chili d'oro trovati nel fiume Mera, gettati dai tedeschi... E ancora...». L'elenco si snoda, la storia si impenna in contabilità. Urbano Lazzaro ripete che c'era un inventario con l'intesa di consegnare parte dei valori al partito comunista perché «in quella lotta era l'unico che ci aveva sostenuto». «Ed è la verità» aggiunge oggi, pur dichiarandosi di idee non comuniste, di «orientazione cattolica». E' orgoglioso del suo diario. Afferma: «E' la base, un documento che gli storici devono consultare». Adesso che farà? «Preparo un dossier sulla morte di Mussolini, il tesoro di Dongo, il colonnello polacco Carol Urbaniec, la morte del capitano Neri...». Sono trascorsi molti anni, ma Urbano Lazzaro non può staccarsi dal «compagno Bill». La storia per lui passa sempre sulla riva del lago, in un mattino freddo di aprile. Ernesto Gagliano // «compagno Bill» ha una sua verità sulla fine di Mussolini: fu ucciso mentre lo trasferivano , da Bonzanigo ad Azzano