Prendi una birra con Carducci
Prendi una birra con Carducci Itinerario della memoria nella Maremma del poeta- turismo e gelosie Prendi una birra con Carducci Da San Guido a Bòlgheri, tra quei cipressi SLIVORNO E la costa dell'Est tira un sospiro di sollievo per la dichiarata non pericolosità delle alghe che affliggono l'Adriatico, quella dell'Ovest — la tirrenica — registra il tutto esaurito con una particolarità: l'aumento dell'agriturismo in Toscana, regione all'avanguardia in questo settore con poderi attrezzati nelle campagne segnate dai girasoli, dalle colline e dai monti della Garfagriana. E' tempo di Maremma, dunque: il favoleggiato West italiano con i butteri rivisti come cow boys. E qui, nelle colline livornesi a ridosso delle spiagge, si snoda un itinerario della memoria legato a Giosuè Carducci, profondamente legato a queste terre, che ora lo celebrano con richiami turistici ma anche con qualche gelosia. Nato in Versilia a Valdicàstello il 27 luglio del 1835, Carducci trascorse l'infanzia a Bòlgheri e Castagneto, andando poi a fare il professore all'Università di Bologna, dove morì il 16 febbraio del 1907, pochi mesi dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, per la prima volta assegnato a un italiano. Tre anni prima Giosuè Carducci aveva lasciato l'insegnamento e la regina Margherita aveva acquistato la biblioteca, e poi la casa, del poeta che da «più illustre mazziniano dell'Ottocento» (secondo Alberto Asor Rosa) sposò poi le tesi monarchiche. «Dolce paese / onde portai conforme/l'abito fiero e lo sdegnoso canto / e il petto ov'odio e amor mai s'addorme / pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto/Ben riconosco in te le usate forme / con gli occhi incerti tra '1 sorriso e il pianto / e in quelle seguo de' miei sogni l'orme / erranti dietro il giovenile incanto»: così Giosuè Carducci recita in «Traversando la Maremma toscana» pubblicata in Rime nuove (1887). Terra dai caratteri schietti, sanguigni e della nostalgia che vien celebrata in «Davanti San Guido» (anch'essa in Rime nuove), i cui primi versi risvegliano la memoria scolastica: «I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti / van da San Guido in duplice filar / quasi in corsa giganti giovinetti / mi balzarono incontro e mi guardar»... E da Bòlgheri potremmo iniziare il nostro viaggio nella memoria carducciana. Il borgo è facilmente raggiungibile: fra Donoratico e Cecina (zona di buoni vini, di grandi e piccoli ma preziosi produttori) s'arriva alla cappellina di San Guido, anonima e grigia costruzione sul bordo della strada, indicata distrattamente. Ma se la piccola cappella può sfuggire, è invece ben visibile il lungo viale (quattro chilometri e mezzo) di cipressi che da qui parte e sale verso la collina, portando appunto a Bòlgheri: ima strada larga che entra nella campagna segnata dai poderi (e il primo è appunto dedicato a «San Guido») e dalle mandrie al pascolo, manzi e cavalli. S'arriva a Bòlgheri: l'accesso al borgo avviene per la porta del castello dei Gherardesca (i discendenti del conte Ugolino di dantesca memoria), due piazze e una manciata di viuzze con un belvedere che s'allunga sulle colline, pianura e mare, dominato dalla maestosa torre di Donoratico. Nella piazza intitolata al conte Alberto c'è la casa in cui Carducci trascorse la fanciullezza: edificio semplice, così come la targa che lo ricorda con discrezione. In paese c'è il negozio-bazar di vari souvenir di Rina Giani che, fra l'altro, propone il fascicoletto Sulle orme del Carducci in Maremma, libriccino curioso con la biografia e alcune opere del poeta e quindi un lungo racconto di Leopoldo Barboni, discepolo e ammiratore del lettarato, pubblicato nel 1906, che narra il suo pellegrinaggio fra Bòlgheri e Castagneto con lo stile gustoso dei viaggiatori del tempo («il freddo ci pelava, ma il cielo era limpidissimo e respiravamo salute»). Nel paese c'è un ristorante da visitare senz'altro ordinando pappardelle di cinghiale e selvaggina con il rosato del luogo. Da qui si può poi raggiungere Castagneto Carducci, sull'alto di una vicina collina: davanti al Municipio (sulla cui facciata è murata una curiosa tabella di misure) c'è il busto di Giosuè Carducci. «Ci sono pochi stomachi aggrumati come quelli dei maremmani! — scrive il Barboni. — Anzi fu giusto a Castagneto dove appresi questi versi da un omettino arzillo, il quale, a giudicarlo dalla punta del naso, di bere se ne doveva intendere: il primo pretto / ed il secolo schietto / il terzo poi senz'acqua / e il quarto non s'annacqua / il quinto come il primo / e il sesto tutto vino...». E la cucina maremmana è celebrata, ad esempio, in un altro ristorante che bene sposa selvaggina e pesce: la sorpresa, sempre piacevole, è poi nel prezzo ragionevole. Carducci guarda tutto e tutti occhieggiando da busti, lapidi e persino da insegne di birrerie. Una contraddizione? Mica tanto, a ripercorrere la vita del poeta così ricca di umori e atteggiamenti. Ha scritto Natalino Sapegno: «Il poeta, che era mosso da un senso vigoroso, polemico, popolaresco della missione affidata allo scrittore, si acconcerà sempre più ad assumere la parte del vate, inteso come interprete dell'opinione dominante e ufficiale della classe al potere. Del resto questo processo involutivo (...) risponde all'analogo svolgimento dei ceti politici dirigenti dell'Italia nel trapasso dalla rivoluzione liberale del risorgimento al plumbeo conservatorismo di fine secolo. E in questo senso la vicenda della vita e dell'arte di Carducci è veramente esemplare e significativa». Alberto Gedda In alto a sinistra, «i cipressi che a Bòlgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar»; e, a destra, uno scorcio del centro di Castagneto. In basso un celebre ritratto del poeta e un particolare* del castello di Bòlgheri In alto a sinistra, «i cipressi che a Bòlgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar»; e, a destra, uno scorcio del centro di Castagneto. In basso un celebre ritratto del poeta e un particolare* del castello di Bòlgheri
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