E ad Auschwitz scende il gelo

E ad Auschwitz scende il gelo Il termine è scaduto, ma il convento carmelitano è ancora lì, nel lager E ad Auschwitz scende il gelo Suore cattoliche nel tempio dell'Olocausto ACITTA' DEL VATICANO USCHWITZ è un campo di battaglia: sul simbolo dei simboli dell'Olocausto si combatte un braccio di ferro fra ebrei di tutto il mondo e cattolici polacchi. Dal paesino vicino a Cracovia si diffonde il gelo nei rapporti fra Vaticano e quelli che Giovanni Paolo II ha definito «i nostri fratelli maggiori», per la presenza di un convento di carmelitane. Le undici suore avrebbero dovuto abbandonare il campo il 22 febbraio, secondo gli accordi sottoscritti a Ginevra nell'87 dai rappresentanti dell'ebraismo europeo e da quattro cardinali (Lustiger, Decourtray, Danneels e Macharski), ma quella scadenza non fu rispettata. I porporati assicurarono però che entro il 22 luglio si sarebbe trovata una sistemazione provvisoria. Anche la nuova data-limite è trascorsa senza che accadesse nulla. Anzi: nel convento, situato all'interno del «Vecchio Teatro», dove erano custoditi i bidoni di gas «Zyklon B» e quanto veniva recuperato dai cadaveri, operai stanno compiendo lavori in muratura. Sono gli stessi operai che due settimane fa hanno picchiato sette ebrei americani, guidati dal rabbino integralista Abraham Weiss, penetrati nel recinto del «Carmelo» gridando slogan. , Proteste avevano rotto il silenzio del lager, in precedenza. E sono proseguite: domenica scorsa i giovani ebrei belgi hanno fatto un sit-in all'interno del campo, trasmesso dalla televisione polacca. «Carmelitane, abbandonate Auschwitz», era scritto sugli striscioni inalberati dai ragazzi, e «Non cristianizzate la Shoah». E' questa la paura più profonda di molti esponenti dell'ebraismo: che la «teologia dell'espropriazione» — la stessa che ha portato a privare, da parte cristiana, gli ebrei della qualifica di «popolo eletto» — si allarghi al massacro compiuto dai nazisti su molti popoli e categorie di persone: oppositori politici, razze follemente definite «sub umane», zingari, omosessuali. Il silenzio del Papa E soprattutto sugli ebrei. «In tutti i campi — ci ha detto Tullia Zevi, Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche italiane — stanno sorgendo santuari, chiese e conventi». I giovani belgi hanno letto sotto le finestre del convento una dichiarazione del Congresso Ebraico Mondiale, in cui si chiedeva al Papa e al governo polacco di spostare fuori dal recinto del campo il Carmelo, «offerto» a,Giovanni Paolo II, durante il suo viaggio in Belgio nell'83, dall'organizzazione «Aiuti alla Chiesa che soffre», un'associazione dalle caratteristiche fortemente conservatrici. Il Papa preferisce non affrontare l'argomento, la cui soluzione è affidata al suo successore come arcivescovo di Cracovia, il card. Macharski. E i rapporti ebraico-cristiani ne soffrono. Due anni fa, a nome del Congresso'Ebraico Europeo, Tullia Zevi ottenne un'udienza da Giovanni Paolo II. La sera precedente l'incontro ricevette una telefonata: un monsignore della Segreteria di Stato le chiedeva «per favore di non sollevare il problema di Auschwitz». «E' l'unico problema di cui voglio parlare — fu la risposta —, senza di ciò l'udienza non ha senso». E l'udienza non ci fu. Così come saltò, nel maggio scorso, un'udienza del Papa alla «Anti Defamation League of B'nai Brith», per «non esasperare tensioni». Il timore è che il silenzio del Papa sull'argomento abbia come significato profondo una tacita approvazione del rifiuto delle suore a spostarsi. Era stato chiesto, da parte ebraica, che fosse almeno tolta, per il 22 luglio, la grande croce di legno piantata nel giardino del convento: «Non possiamo farlo -r- è stata la risposta —; non possiamo andare contro i sentimenti della popolazione. Se anche la togliessimo la croce tornerebbe, la rimetterebbero con la forza». Già, perché la querelle, dopo gli scontri del 14 luglio, ha finito per coinvolgere la popolazione della zona, pronta a interpetare come una sconfitta l'allontanamento delle suore. Che dovrebbero, secondo gli accordi, trasferirsi in un nuovo convento, nei pressi del campo: ma la sua costruzione, ha fatto sapere il card. Macharski, di Cracovia, nella cui diocesi è Auschwitz, non potrà iniziare prima del '90. Così il card. Decourtray ha dovuto scrivere, dopo quella del febbraio scorso, una seconda lettera di scuse: «Per questo anniversario speravamo di poter dare un segno concreto per l'attuazione dell'accordo del 22 febbraio '87. Purtroppo le lentezze amministrative e gli ostacoli psicologici dovuti all'incomprensione non ci permettono dì dare questo segnale. Siamo profondamente rattristati. Preghiamo i nostri interlocutori ebrei di scusarci — conclude il cardinale — per il ritardo dovuto a ostacoli di cui nessun firmatario dell'accordo aveva compreso la gravità». Ma il superiore provinciale di Polonia dei carmelitani scalzi, da cui dipendono le suore di Auschwitz, dichiara a Trenta Giorni la sua contrarietà allo spostamento: «Non è possibile che altri vogliano governare nel nostro Paese». «La situazione adesso è in mano agli estremisti delle due parti — ci ha dichiarato Tullia Zevi, firmataria dell'accordo di Ginevra —. Le dilazioni hanno finito per trasformare quello che doveva essere un gesto discreto di conciliazione in una controversia amara, che invece di favorire il dialogo ebraicocristiano rischia di portarlo alla paralisi». «Il cielo era muto...» Perché la presenza di un «Carmelo» nel campo di sterminio causa «profonda angoscia» nella sensibilità ebraica? Il concetto di base è questo: Auschwitz, dove sono stati uccisi due milioni e mezzo di ebrei, è diventato sinonimo della Shoah. Il rispetto ebraico per i morti esige silenzio sul luogo del loro martirio, che il perimetro del campo resti intatto e non consacrato dalla presenza istituzionalizzata, di nessuno. «Non voghamo impedire ai cattolici polacchi di pregare. Ma devono capirci: il cielo era muto, gli uomini erano muti, durante lo sterminio, che Auschwitz sia muto anche ora. Ho letto la condanna della Chiesa per la strage di piazza Tien An Men: se le stesse frasi fossero state pronunciate durante la Shoah forse il destino sarebbe stato diverso». Non poche voci cattoliche hanno riconosciuto, in passato, l'antisemitismo cristiano, presente ancora oggi, fra le radici lontane dell'Olocausto. E', questo, un elemento da tenere presente, nel valutare le reazioni ebraiche alla presenza del Carmelo. ' Alla vigilia della seconda scadenza le 22 «Unioni delle Comunità» europee, Polonia compresa, hanno diffuso un comunicato che esprime la «determinazione a realizzare quanto stabilito a Ginevra» nonostante il non rispetto degli accordi, e la volontà di non farsi trascinare in una spirale di radicalizzazioni. Ma gli effetti persistono. A Varsavia e Auschwitz, in settembre, tutte le religioni del mondo celebreranno una giornata mondiale di preghiera, a cinquantanni dallo scoppio della seconda guerra mondiale. «War never again», «guerra mai più» è lo slogan dell iniziativa. A cui mancheranno le più importanti organizzazioni ebraiche, coerenti con la decisione di non partecipare a momenti di dialogo con i cattolici, fino a quando il «Vecchio Teatro» ospiterà le suore. Marco Tosarti «Carmelitane, abbandonate Auschwitz» dice lo striscione portato da giovani ebrei belgi. La manifestazione si è svolta domenica scorsa. In alto, i reticolati del lager