Cile, primo passo verso la democrazia di Paolo Patruno

Cile, primo passo verso la democrazia |~ Nuova Costituzione ~| Cile, primo passo verso la democrazia E' solo un primo passo verso la democratizzazione del Cile, ma un passo importante. Ieri la maggioranza dei sette milioni e mezzo di cileni si è recata alle urne per deporre la scheda con la scritta «Approvo». E' stata così approvata la riforma alla Costituzione (imposta da Pinochet e tagliata su misura per lui nel 1980) che inciderà non solo marginalmente sul cammino verso la democrazia di questo martoriato Paese in vista delle elezioni presidenziali di dicembre. Eppure c'è stato un acceso dibattito inCile sulla partecipazione al plebiscito, il terzo cui il popolo è stato chiamato da Pinochet dopo quello che introdusse nove anni fa la Costituzione liberticida e quello dall'esito clamoroso dello scorso ottobre, quando un coraggioso, indomito 54 per cento respinse clamorosamente la pretesa del dittatore di restare padrone del Paese fino al Duemila. La ragione è presto detta: la riforma costituzionale è frutto di un faticoso compromesso fra i circoli militari e il fronte democratico. E come tale non può accontentare appieno l'opposizione a Pinochet. Tanto che il partito comunista e il movimento della sinistra rivoluzionaria del Mir hanno invitato i loro simpatizzanti a non partecipare alla consultazioni perché, ' come ha sostenuto la dirigente pc Fanny Pollarolo, «le riforme non sono sufficienti a mutare il carattere anti-democratico della Costituzione» lasciando ancora alle Forze Armate il ruolo centrale di «garante». Ma i sostenitori del plebiscito, comprendenti tutte le altre forze democratiche di opposizioni, hanno presentato ai cileni un nutrito conto all'attivo: 54 modifiòhe a partire dall'obbligo di rispettare i diritti umani e porre fine all'esilio politico, dalla cancellazione dell'articolo che dichiarava illegali le organizzazioni di ispirazione marxista. E ancora: aumento dei seggi senatoriali per sminuire l'importanza dei senatori designati direttamente da Pinochet, snellimento delle procedure per modificare le leggi, riduzione a quattro anni (contro gli attuali otto) del governo del prossimo presidente, introduzione di una maggioranza civile nel Consiglio di sicurezza nazionale (fin qui dominato dai militari) che non potrà più opporsi alle decisioni del governo. Certo, si tratta di «modifiche apportate a una Costituzione anti-democratica», ma i miglioramenti sono tali che Patricio Aylwin, il democristiano candidato unico del fronte d'opposizione alle presidenziali di fine anno, ha rivolto un appassionato appello ai cileni perché «si approvino queste riforme costitu1 zionali rese possibili dalla I vittoria del nostro "no" a Pi¬ nochet nel plebiscito del 5 ottobre». E la sua tesi è stata rafforzata dalla campagna dei socialisti che hanno sostenuto, con Ricardo Lagos, che «la vittoria in questo referendum sarà un passo verso la democrazia, per avere una Costituzione davvero democratica dopo dicembre». Proprio per la fondatezza di questi motivi, il vecchio Pinochet aveva cercato finora di evitare modifiche alla «sua» Costituzione, destinata a perpetuare «la democrazia forte» come la definisce lui, aw> i sando lo svolgimento del plebiscito con un paio di crisi di Gabinetto negli ultimi mesi. Ma alla fine si sono imposti i generali «moderati», quelli che cercano di gestire la fine del «pinochismo» e la transizione senza scosse verso un governo democratico. E così anche Pinochet ha dovuto accettare la necessità di «migliorare» la Carta costituzionale e ha propagandato il referendum dagli schermi tv: «Perfezionare la Costituzione è un tuo dovere, approva le riforme». Paradossalmente, quindi, sia l'opposizione che il regime si sono trovati fianco a fianco nel far campagna a favore del plebiscito costituzionale. E a convincere i riottosi ci ha pensato il governo rincarando le multe destinate a chi diserta il voto (da un minimo di 23.000 ad un massimo di 130.000 lire italiane). Archiviata così senza scosse la tappa intermedia della riforma della Costituzione, il Cile attende con interesse spasmodico l'appuntamento decisivo delle presidenziali di dicembre. Chi ci sarà a contrastare il de Aylwin? La destra è divisa perché due sono i candidati in corsa: il giovane ex ministro dell'Economia Hernan Buchi, preferito dalla dittatura e dagli ambienti finanziari che vogliono perpetuare una politica «pinochista» anche senza il vecchio Caudillo,- e Sergio Onofre Jarpa, ex ministro degli Interni che ha abbandonato il governo dopo i moti dell'83 e mira a proporsi come il rappresentante di una destra moderata. La scadenza per il deposito delle candidature è l'il agosto. E Pinochet continua a sperare nella dissoluzione del fronte d'opposizione e nella lotta fratricida all'interno della destra fra Buchi e Jarpa per riproporsi al Cile. Il sottosegretario degli Interni, Gonzalo Garcia, ha spiegato che i primi dati sullo spoglio delle schede verranno divulgati dopo l'arrivo dei risultati delle prime mille sezioni. In base alla legge elettorale infatti, le sezioni di voto devono restare aperte per nove ore consecutive, a partire dalle ore otto di domenica. I risultati ufficiali dunque saranno resi noti non prima di questo pomeriggio. Paolo Patruno inoj

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