Pavese incontrò una musa avatar
Pavese incontrò una musa avatar Lo scrittore non capiva la musica Pavese incontrò una musa avatar VI fu un rapporto tra Cesare Pavese e la musica? E in caso affermativo, ih qual modo avrebbe inciso nella vita e nell'opera dello scrittore poeta? Come per tutto quanto emerge dalla sua personalità, l'argomento presenta aspetti diversi e contrastanti. Un appunto volante preso all'età di venticinque anni: «Non capisco né musica né figurative... Che realtà hanno le note? Che possibilità di costruzione dall'interno i colori e le forme?». Affermava che all'immagine coloristica musicale, fantasiosa, egli sostituiva la costruzione pesata di una realtà fatta di pensiero animato e parlato. Ma quattro anni avanti, nella prima delle otto poesie all'amica Giuditta Tallone detta Ponina (che più tardi le pubblicò postume insieme a quattro lettere), diceva: «Fragorosa sul viale — ecco a un tratto l'orchestra si spegne —. Sull'orchestra in sordina, canta spiegato un saxofono rauco». Ponina suonava il pianoforte, gli spiegava Debussy e Bee thoven dopo un concerto. Pavese cercava di capire, le scriveva che qualcosa incominciava davvero a comprendere: «Durante l'Appassionata mi sentivo a tratti intorno il fragore di un mondo che si sconvolge e brucia. Nella Nona, un'ascesa vertiginosa come di stella in stella e, su tutto, un'armonia così remota ed alta che pare eludere anche il suo creatore». Parole, queste, scaturite dall'impulso sentimentale e gio vanile. Però nel 1932, cioè tre anni dopo, andato a trovare Nuto (l'amico Pinolo Scaglione, giovane falegname che suonava il clarino nella banda di Santo Stefano Belbo) scrisse la celebre poesia Fumatori di carta : «Mi ha condotto a sentir la sua banda. Si siede in un angolo — e imbocca il clarino. Comincia un baccano d'inferno». Il clarino si torce, «rompe il chiasso sqnoro, s'inoltra, si sfoga — come un'anima sola, in un secco silenzio». Pavese compose anche versi ispirati a certi quadretti dell'amico pittore Sturani, colpito dall'evidenza del colore e dalla sapienza della loro costruzione. Certo, non si trattava tanto di adesione artistica e critica quanto di partecipa'zione immediata. Tuttavia è curioso questo poeta che nega, di comprendere suoni e figure, ma poi si ispira al clarino e ai dipinti degli amici. Perfino in Walt Whitman, il poeta americano del secolo scorso sul quale scrisse la tesi di laurea (e che doveva avere su di lui notevole influsso culturale) ritrovava l'importanza della musica. Pavese laureando scriveva: «Come i canti per l'America esprimevano la gioia di scoprire l'America, Proud Music of the Stcrm ("Della bufera musi ca superba", ndr), grande elo gio dei suoni, esprime la gioia di scoprire questi suoni, cioè secondo W. W., di crearli nel l'arte». Insomma, nonostante gli studi compiuti in un periodo scolastico che non spingeva troppo i giovani verso l'amore alla musica, scopriamo come ogni tanto Cesare Pavese fosse portato a imprevedibili incon tri con manifestazioni (sia tra dizionali e sia nuove) di un'arte che in quegli anni andavano sempre più accostandosi al jazz trionfante nei due conti nenti. Il suo grande amico musicologo, critico e scrittore Massimo Mila, diceva che «l'elegan za raffinata di Ellington con quistò quell'uomo totalmente negato alla musica». Privo di cultura specifica, avrebbe dovuto preferire sem mai la barbarie e l'allegria di Armstrong. Invece Mila proprio di Ellington conservava un 78 giri con una facciata logora per l'uso eccessivo che Pavese ne faceva quando andava a trovarlo a ca sa sua. Non capiva niente di mu sica: «Ma se avesse capito qualcosa sarebbe stato un fa natico mozartiano e un patito delle squisitezze liederistiche». Più dell'energia gustava la finezza, trovava Beethoven addirittura insopportabile «Un equivalente della retorica carducciana». Se i primi approcci musicali di Pavese sembra si riferissero proprio al creatore della cele bre Nona Sinfonia, più tardi aveva evidentemente cambiato parere e nei suoi libri (oltre alla chitarra di Pablo) ritroveremo piuttosto qualche saxo fono e qualche banjo a segnare l'umore del tempo. Più che naturale, per lo scrittore che continuava a sognare quell'America che non era mai riuscito a vedere. Bona Alterocca Cesare Pavese. Con la musica lo scrittore ebbe un rapporto diffìcile Bona Alterocca, per lunghi anni giornalista di La Stampa, di recente scomparsa, era stata tra le persone più vicine e care, fino all'ultimo, a Cesare Pavese. Le era stato chiesto sovente di parlare di lui. Per questo gli dedicò due volumi (nel 1975 e nel 1985) e vari scritti giornalistici. L'ultima volta, era stata lei a proporre un breve scritto su Pavese e la musica. Pubblichiamo oggi quel breve testo, finora inedito, in ricordo d'una collega valorosa e amica, ma anche perché, crediamo, affronta un aspetto poco conosciuto del grande scrittore piemontese.
Luoghi citati: America, Bee, Santo Stefano Belbo
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