Piramidi, cupole e graffiti per il Teatro della memoria
Piramidi, cupole e graffiti per il Teatro della memoria Ezio Gribaudo in mostra a Ferrara: ricerca sull'arte del XX Secolo in cinquanta collages Piramidi, cupole e graffiti per il Teatro della memoria Dalle orme di antiche civiltà alla rivisitazione di Picasso e Moore LFERRARA A successione dei frammenti figurali, il candore incontaminato dei bianchi, la rivisitazione di un'intera stagione di incontri con i maggiori artisti contemporanei da Picasso a Moore, rappresentano gli elementi della cultura artistica di Ezio Gribaudo, che espone alla Galleria Civica d'Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, sino alla fine di settembre. Si tratta di una personale che suggerisce, ancora una volta, l'itinerario della vicenda di questo pittore che opera in un atelier ai piedi della collina torinese, che affida ai collages quel «Teatro della memoria» che accompagna sin dal 1964 il suo percorso attraverso i diversi aspetti delle esperienze della pittura del XX Secolo. Collages che raccolgono il senso di una ricerca mai venuta meno nel tempo, del recupero di una realtà attentamente reinterpretata, scandagliata, analizzata per trarne i simboli, i miti, le segrete sensazioni, mentre — suggerisce in catalogo Andrea De Benedetti — emergono rimembranze «di sagome architettoniche, stralci, orme di antiche e scomparse civiltà». E dai profili di piramidi, di cupole, dì animali preistorici, prendono forma e consistenza e lirica definizione le sue «tavole» che hanno l'inconsistenza delle tracce sulla sabbia, l'incisività dei graffiti ritrovati sulle pareti delle grotte di Altamira, l'emergenza di un colore lieve e aereo come un ricordo. Soprattutto il discorso di Gribaudo appare quanto mai raffinato, giocato sulle sottili emozioni che scaturiscono dal fraseggio minuzioso dell'Omaggio a Tatlin, dal viaggio in Cina o della serie delle «mele» che rievocano la poetica delle «cose», degli «oggetti», delle strutture architettoniche. Sono le pagine di un lungo racconto intorno alla «dissolvenza» dei bianchi, all'impiego dei «flani» tipografici, alla luce che s'insinua tra le immagini, i calchi, le impronte che nello spazio di «fogli» assumono le sembianze di una raffigurazione phe sembra tracciata dal vento delle rocce. Sono solchi appena accennati, fenditure, parole, numeri, foglie, minareti e pagode, codici miniati, cavalli e ideogrammi. Gribaudo restituisce così l'incedere di un gesto che si. fa espressione, colore, cifra indelebile del suo linguaggio. Un linguaggio che gli è valso i premi alla Quadriennale di Roma nel 1965 e, successivamente, alla Biennale di Venezia e a San Paolo del Brasile, sempre nell'ambito di una grafica del tutto particolare, ùnica, sicuramente frutto di una capacità che si è, inoltre, espressa attraverso l'esecuzione di sculture, l'organizzazione di mostre d'arte e le edizioni di importanti monografie sugli artisti del Novecento. Cinquanta collages per una mostra, per riconfermare il ruolo della ricerca e della preziosa indagine segnica che caratterizza lavori dalla magica suggestione. Angelo Misti-angelo Ezio Gribaudo: «Piramide». A destra, «Omaggio a de Chirico»
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