Ora che accadrà all'ostaggio? di Giuseppe Zaccaria

Ora che accadrà all'ostaggio? Ora che accadrà all'ostaggio? i/ senatore Imposimato: «Rischio calcolato Io ottenni ottimi risultati proprio con la linea dura» ROMA. Encomi e promozioni per tutti, il ministro degli Interni in visita ai feriti, il capo della polizia che abbraccia gli uomini dei «Nocs» mormorando, enfatico: «Voi sì, che siete uomini veri...». Ma è proprio questo il senso del sanguinoso intervento dell'altra notte, davvero si possano stilare bilanci trionfali? All'improvvisa ricomparsa della linea «dura» nella lotta ai sequestri si accompagna anche una serie di dubbi: servirà, questa sparatoria, a ottenere laliberazione di Dante Belardinelli; davvero, come ha detto il procuratore Vigna, l'ostaggio adesso è «più sicuro», o piuttosto la sua vita non è mai stata così in pericolo? «E' una risposta difficile, dall'altra notte si è aperta una gara contro il tempo di cui è impossibile prevedere l'esito. Quel che è certo è che nei sequestri la linea "morbida" non ha pagato mai». Ferdinando Imposimato, oggi senatore nelle file del pei, fino a due anni fa si è trovato in prima linea a Roma, come giudice istruttore, nelle più delicate inchieste degli ultimi anni. Numerosissime ri¬ guardavano i rapimenti: Bulgari, Chiacchierini, Filippini, D'Alessio, Danesi, Palombini, Ciocchetti, Corsetti, Penteriani, Francisci, e poi ancora Amati, Marconi, Appolloni, Grazioli, Incardona. «Dal '75 al '78, trentaquattro sequestri di persona soltanto a Roma: questa era divenuta la capitale mondiale per questo tipo di imprese. Qui "lavoravano" siciliani, calabresi, marsigliesi... Da cinque anni invece non si sequestra più. Il motivo? Secondo me sta tutto nella decisione, che ricordo molto sofferta, di intervenire in ogni trattativa, pedinare i famigliari degli ostaggi, bloccare quand'era possibile il pagamento del riscatto». Una decisione presa nei primi mesi del '78 dall'allora giudice Imposimato e da un sostituto del cui «decisionismo» si sta parlando anche in questi giorni: Domenico Sica. «Eravamo nel '79, verso la fine di marzo. L'informazione italiana era completamente assorbita dal rapimento di Aldo Moro, ma ih quel momento solo a Roma c'erano anche 4 persone nelle mani di banditi: il con¬ te Massimiliano Grazioli, gli industriali Michele Marconi ed Angelo Appolloni, la figlia del proprietario di una catena di cinema, Giovanna Amati. Fino a quel momento la magistratura di Roma aveva adottato la linea del "non intervento" fino a liberazione avvenuta. Ma fu proprio il caso Grazioli a farci mutare rotta». «Successe che i familiari del conte, terrorizzati dalle telefonate dei banditi, decisero di pagare il riscatto nonostante consigliassimo loro di attendere almeno una prova che Grazioli fosse in vita. Anzi, ci presero in giro: ai carabinieri, che li intercettarono, consegnarono un pacco sigillato che doveva contenere banconote. C'era solo carta straccia. Nello stesso momento un incaricato portava il riscatto ai banditi sull'autostrada di Fiumicino. Due giorni dopo venne a trovarmi un parente di Grazioli, Alessandro Perrone, ex proprietario del "Messaggero", per dirmi che avevano pagato un miliardo e 400 milioni e suo cognato non era stato ancora liberato. Gli risposi che probabilmente era già stato ucciso». «Fu quello l'episodio che ci spinse a sposare la linea dell'intervento. Pochi giorni dopo, pedinando i familiari di Appolloni, riuscimmo a bloccare due "esattori" al Ponte della Romanina, in periferia. Fu un "colpo" particolarmente fortunato: i due erano della banda che teneva in ostaggio Appolloni ma sapevano molto anche del sequestro Marconi. Li liberammo tutti e due nella stessa notte». Restava Giovanna Amati, ma anche per lei la libertà fu questione di giorni: «Attraverso un "telefonista" eravamo arrivati a identificare 15 componenti la banda. Leggendo degli altri arresti, quelli la liberarono». «Insomma, la linea dell'intervento dimostrò allora, e ha dimostrato in seguito, di condurre a qualche risultato. C'è un elemento che in questi casi risulta decisivo: per legge, chi viene catturato durante le trattative risponde anche dell'eventuale uccisione dell'ostaggio. Questo, i due banditi presi ora lo sanno». Giuseppe Zaccaria L'industriale del caffè Dante Belardinelli, rapito il 30 maggio scorso

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