Il Grinta del Toro di Pier Carlo Alfonsetti

Il Grinta del Toro Lo strano destino di Giacomo Ferri, riserva sulla carta e titolare in campo Il Grinta del Toro «Avrò di nuovo il posto» BORNO DAL NOSTRO INVIATO Da nove anni al Torino e da altrettanti senza garanzie di un posto in squadra: ciò nonostante, in barba al destino che lo vuole riserva ad ogni costo, Giacomo Ferri ha continuato a restare un punto fisso del Torino. Se il talento calcistico è limitato, aggressività, tenacia e generosità ne hanno fatto una sicurezza e gli allenatori che si sono susseguiti alla guida della squadra granata — da Radice a Bersellini ed ora a Fascetti — non hanno potuto fare a meno di confermarlo. Giocare senza riscuotere credito non deve essere peraltro ima soddisfazione ma ormai il grintoso difensore non ci fa più caso: l'anzianità l'ha reso filosofo insegnandogli che, quando è il caso, si può anche fare spallucce di quel che pensa il prossimo. «All'inizio mi arrabbiavo e ne soffrivo — dice — ma con il passare degli anni ho imparato a liberarmi da questi complessi. Impegnandomi al massimo, sono sempre riuscito a farmi apprezzare da tutti quelli che ho avuto in panchina, e questo ha significato il posto in squadra. Quindi, non ho nessuna recriminazione da fare». Sopravvissuto ad ogni «epurazione» e praticamente ad una generazione di giovani difensori, nessun dubbio che il vecchio Giacomo Ferri intenda continuare nella stessa direzione. I concorrenti non mancano, ma lui neppure si sogna di arrendersi. «Alla mia età, ormai ho trent'anni, non ho più nulla da dimostrare e se Fascetti mi ha voluto con sé ci sarà pur un motivo. D'altra parte, l'allenatore ha già detto chiaramente che giocherà chi se lo merita. Per quanto mi riguarda cercherò come sempre di far valere le mie doti e poi decida lui. In ogni caso, non patirò a leggere sui giornali della mia esclusione: l'anzianità e l'esperienza mi hanno insegnato che si deve aspettare a gioire ma anche a disperare». Il Torino è fresco reduce da una esperienza traumatica come la retrocessione che ha lasciato segni pesanti sulla società e sui giocatori: storia recente, di poche settimane fa, veleni non ancora completamente smaltiti ed è impensabile che Ferri si limiti a valutare il futuro senza gettare un'occhiata alle spalle e soppesare le vicende dell'annata più dolorosa che lui ricordi. «A volte stento ancora a rendermi conto di quel che è avvenuto. Difficile esplorare il campo delle responsabilità che, sicuramente, non sono state prerogativa di una sola persona o di una sola componente. Credo che abbiano mancato i dirigenti, che abbiano avuto colpe i tecnici, ma anche i giocatori non vanno esentati da imputazioni. Il tempo passava ed in pratica stentavamo a renderci conto che si stava gradualmente scivolando nel baratro. Insomma, eravamo increduli che il Toro potesse finire in serie B». Una specie di refrattarietà all'evidenza molto simile al vivere nelle nuvole. «Sì, forse la verità è proprio questa». Radice, Sala, Vatta: si può dire che almeno uno dei tre allenatori che si sono succeduti l'anno scorso sia stato inutile? Ferri indugia a guardare nel vuoto, la risposta non è facile e scaturisce a fatica. «La conferma di Radice equivaleva a ribadire una fiducia che è venuta meno con la mancanza di risultati. Si è fatto ricorso a Sala nella speranza di uno scossone che non c'è stato e poi ecco l'avvento di Vatta, soluzione disperata alla ricerca del miracolo. Ma a quel punto eravamo quasi spacciati, praticamente il nostro destino era già stato scritto». Cambia lo scenario e nelle previsioni il Toro derelitto è pronto a vestire i panni del protagonista: ma sarà davvero così? «Il campionato di B è cresciuto di livello e dal punto di vista tecnico ha accorciato il "gap" rispetto alla massima divisione. La squadra è molto forte ma di sicuro non può credersi già vittoriosa. Sarebbe un grave errore di presunzione, nonostante sia convinto che nel campionato di A potremmo tranquillamente conquistare un posto di centro classifica». Pier Carlo Alfonsetti Giacomo Ferri. Un campione di generosità e tenacia