Albertazii giustiziò il partigiano di Ezio Mascarino

Albertazii giustiziò il partigiano Abbiamo trovato la sentenza del Tribunale militare con la verità sul giallo di Sestino Albertazii giustiziò il partigiano Fu assolto perché agì sotto la minaccia del superiore Fu il sottotenente Giorgio Albertazzi, il 28 luglio del 1944, a comandare il plotone d'esecuzione che fucilò Ferruccio Manini a Sestino, in provincia di Arezzo. La verità sull'episodio, consumato sugli Appennini toscani,- ai limiti della Linea gotica, giace fra gli scaffali dell'archivio del Tribunale militare, in una sentenza della Procura militare di Milano. La ricostruzione dei fatti non lascia spazio a dubbi: «I carabinieri accertavano che il 28 luglio '44, davanti al cancello del cimitero di Sestino, l'Albertazzi aveva comandato il plotone d'esecuzione che aveva fucilato il patriota Ferruccio Manini, disertore da un reparto dell'esercito repubblicano fascista, catturato pochi giorni prima». «Io ero responsabile di un altro plotone — era stata la difesa dell'attore toscano nelle numerose interviste rilasciate nei giorni scorsi —, quello che ese¬ guì la condanna a morte lo guidava un sergente maggiore». Nell'immediato dopoguerra, Albertazzi fu inquisito e processato per l'esecuzione del giovane disertore: la sentenza fu sì di assoluzione, ma «per aver agito in stato di necessità» e non «per non aver commesso il fatto», come ha sempre sostenuto l'attore. Il «caso Albertazzi» esplose sulle pagine dei giornali una decina di giorni orsono, all'indomani della trasmissione televisiva «I giorni e la storia» di Arrigo Petacco, in cui l'attore venne invitato per fornire la sua versione sulla morte di Manini. Albertazzi declinò ogni responsabilità, ma la rievocazione di quei giorni riaccese, a Sestino, il fuoco dei ricordi che cova ancora sotto le ceneri. E sono in molti, nell'Aretino, ad accusare Albertazzi, un giovane ed elegante sottotenente repubblichino che la maggior parte degli abitanti dell'epoca ricorda ancora. Albertazzi si difende tenacemente, sostenendo di aver presenziato ma di non aver comandato la fucilazione, ordinata dal colonnello Zuccari, e accusa invece il sergente maggiore Mattia Baglioni, morto in azione prima del processo («il suo nome fu artificiosamente fatto da Albertazzi per cercare di attenuare le proprie responsabilità», dice testuale la sentenza del giudice Corsini). A sua discolpa, Albertazzi cita alcuni passi del libro Un perdente di successo, l'autobiografia in cui, in epoca non sospetta, racconta la sua verità. In realtà, secondo la sentenza del giudice Corsini, dopo il secco rifiuto del tenente Plinio Pesaresi, fu proprio Albertazzi ad eseguire la condanna a morte decretata dal collerico colonnello Zuccari, forse terrorizzato per le possibili conseguenze di un altro «no». «Deve ritenersi che Albertazzi abbia agito in stato di necessità per coartazione della sua volontà mediante minaccia»: questa la motivazione del proscioglimento. Due versioni, una indiretta, l'altra di un testimone oculare, confermano la ricostruzione del giudice. Francesca Pesaresi, figlia cinquantenne del tenente che rifiutò di eseguire la sentenza racconta: «Papà in casa parlava poco di quegli anni. Ma una sera confidò in famiglia: "Io dissi no; per me, ufficiale, era un grave errore. Fu Albertazzi a far uccidere quel soldato"». E Giancarlo Bartolucci, 58 anni, segretario di una scuola media di Arezzo: «Manini fu messo contro il muro del camposanto, una gragnuola di colpi, poi Albertazzi estrasse dalla fondina la pistola e sparò il colpo di grazia». SERVIZI DI Claudio Cerasuolo ed Ezio Mascarino A PAGINA 7 Giorgio Albertazzi

Luoghi citati: Arezzo, Milano, Sestino