Si riapre il fronte estone di Emanuele Novazio

Si riapre il fronte estone Scioperano gli operai di nazionalità russa contrari alle concessioni ai baltici Si riapre il fronte estone E in Georgia è sempre «massima emergenza» MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Si riapre dopo mesi di calma apparente il fronte della protesta estone, con uno sciopero nelle fabbriche di Tallinn a manodopera russa, un'improvvisa vampata delle minoranze «non estoni» contro la maggioranza locale, mentre la situazione torna a farsi esplosiva in Georgia, dove è ripreso lo sciopero della fame dei nazionalisti che chiedono l'indipendenza della Repubblica, e dove migliaia di persone armate sono ammassate lungo il fiume Galize, al confine con l'Abkhasia. Mentre l'agitazione dei minatori si spegne, dunque, il fronte dei nazionalismi incrociati si estende e si aggrava, spandendo altre ombre sulla riforma e sollevando altre incognite sulla stabilità del Paese. E' una drammatica rincorsa di proteste sovrapposte, e un appello alla popolazione del Soviet Supremo, ieri sera, sottolineava il pericolo di «reazioni a catena innescate dagli scioperi e dai conflitti nazionalistici»: quelli che, «divampati come un incendio, mostrano quanto sia difficile la fase attuale della perestrqjka». Sono forse Abkhasia e Georgia, in queste ore, a preoccupare il Cremlino, per le nuove vittime della violenza di bande e l'imporsi graduale di una situazione simile a quella che precedette il massacro del 9 aprile a Tbilisi. Ma l'irruzione improv- visa, sulla tormentata scacchiera delle crisi, dell'agitazione «anti nazionalistica» in Estonia, sembra porre le condizioni per una nuova esplosione «nazionale» sul Baltico. La protesta, a Tallinn, è alimentata da una legge che impone a tutti i lavoratori di imparare la lingua estone entro cinque anni, e da un progetto di legge che priverebbe molti immigrati del diritto di voto e di impiego nei pubblici uffici, riservati a chi vive da almeno 15 anni e senza interruzioni nella Repubblica. Ed è una svolta, perchè per la prima volta alla battaglia autonomista degli estoni, combattuta con le armi della contestazione costituzionale e della mobilitazione popolare, si replica con l'arma politica e sociale dello sciopero. Lo scenario è certo differente nel Caucaso, ma le incognite sono altrettanto serie per l'intreccio di motivazioni nazionali, di tentazioni autonomistiche e di odi razziali. Dopo due settimane di scontri e di aggressioni a miliziani e uomini delle truppe speciali in Abkhasia e nelle province occidentali della Georgia, dove un altro poliziotto è stato ucciso domenica sera da bande in cerca di armi, la situazione è precipitata anche a Tbilisi. Lunedì sera ventimila persone hanno bloccato il centro: sventolando il «tricolore dell'indipendenza», quello della Repubblica di Georgia, assorbita nel '21 dall'Urss, scandendo slogan contro «gli invasori» e «l'impero russo», gridando insulti alla statua del «grande Satana Lenin». E' stata la più grande manifestazione di piazza dopo quella del 9 aprile, che si concluse con la morte di venti persone, uccise dai manganelli delle truppe speciali, e con forti sospetti di una provocazione politica ai danni di Gorbaciov. Ieri, «giornata di lutto» in tutta la repubblica in memoria dei morti di aprile, la mobilitazione è continuata, con bandiere a mezzasta sugli edifici pubblici e gruppi di dimostranti, nel centro di Tbilisi: trenta studenti hanno cominciato un sit in e tre di loro hanno proclamato lo sciopero della fame, decisi a proseguirlo ad oltranza, «fino all'indipedenza della Georgia». Un obiettivo irrealistico certo, ma capace di smuovere azioni e reazioni, in una catena che nel recente passato è finità nel dramma. «Il partito e le autorità del governo locale hanno difficoltà a spiegare la situazione ai residenti della capitale georgiana», ammetteva la Tass, ma la situazione è ancora più tesa per le notizie in arrivo dall'Abkhasia, dove i trasporti e le principali imprese della capitale Sukhumi restano bloccati dallo sciopero, dove bande armate pattugliano le strade della campagna e gli elicotteri sorvolano le spiagge abbandonate da migliaia di turisti in fuga. Sembra che tutto possa precipitare di nuovo, e quanto accade al confine fra Georgia e l'Abkhasia ne è il tragico simbolo: migliaia di georgiani armati si sono riuniti sulle rive del Galize, il fiume che divide la Georgia dalla Repubblica autonoma, sostengono fonti locali, e a fronteggiarli sono centinaia di uomini delle truppe speciali, anche loro armati e pronti a fermarli. Uno dei leader del movimento georgiano, Zviad Gamsakhurdia, confermava ieri di aver convinto i nazionalisti a «non attaccare» e a «non tentare di entrare in Abkhasia». Ma nessuno si è mosso dalla riva e «se non ci ascolteranno finirà in un massacro». Emanuele Novazio

Persone citate: Gorbaciov, Lenin, Zviad Gamsakhurdia