L'altra faccia di Gigliola

L'altra faccia di Gigliola Savona, scontro in aula tra i legali della Guerìnoni e del convivente L'altra faccia di Gigliola «Mantide? No, donna libera» SAVONA DAL NOSTRO INVIATO Il processo Bebawi è ricominciato, nell'aula di Savona. Di nuovo una coppia divisa da un sospetto, da una sentenza. Lei ha la faccia d'angelo di Gigliola, lui quella stanca e inebetita di Gerì. E' lontana la Roma della dolce vita, non c'è più l'Italietta che s'affaccia al boom, non ci sono nemmeno due amanti che si accusano, si insultano, si guardano in cagnesco. Però, oggi come allora, ci sono due imputati che si giocano per forza la condanna, uno contro l'altra. La vittima è Cesare Brin, che a Cairo nei tempi d'oro chiamavano il re. Ucciso a martellate e a bottigliate. Ieri, al processo, hanno cominciato a parlare le difese di Gigliola e di Ettore Ge¬ rì. Emi Roseo è uno dei due difensori di Gerì: «Non è stato lui, non ci sono le prove, non c'è un movente valido. Chiedo l'assoluzione con formula piena». Mirka Giorello assiste assieme a Scipione Del Vecchio la Guerìnoni: «Mentre Gerì ha un movente lei non ce l'ha. Dovete assolverla con formula piena». Certo, rispetto al processo Bebawi troppe cose sono diverse. Allora, marito e moglie si puntarono il dito contro in aula, senza esclusione di colpi. Adesso, questa è la linea della difesa, non degli imputati. Mentre Mirka Giorello parla, l'altro avvocato, Scipione Del Vecchio, deve sedersi vicino a Gigliola, dissuaderla, chiacchierare, calmarla. Alla fine, Gigliola accetta, pur se a bocca storta: «Io quello che avevo da dire l'ho già detto. Sotto giuramento. E me lo porterò fin sulla tomba». Gerì non c'è in aula. Ma ha già parlato quando lo misero a confronto con la sua donna: «Lo faccio per mia figlia, lasciami dire quel che devo dire». Lui o lei, dunque? Emi Roseo parla tre ore e mezzo per dire che non può essere stato lui, il vecchio stanco e malato. «Non ci sono prove contro Gerì. Si parla di gelosia, ma questo è un moto dell'animo, un sentimento, non è un atto notarile. Io richiamo il principio dell'onere della prova. Noi non dobbiamo provare nulla, è il pm che deve provare». Non ha ucciso per gelosia, e tantomeno per vendetta. E non ha premeditato il delitto: «Perché se così fosse non l'avrebbe fatto in casa della donna, usando un martello, la¬ sciando la macchina davanti ai carabinieri. E, soprattutto, non si sarebbe mai portato dietro Soi aya, l'unico serio amore della sua vita, l'ultimo regalo, la linfa vitale». Non è stato Gerì. E chi, allora? Emi Roseo non lo dice a chiare lettere, ma lo lascia intuire: bisogna cercare nella vicenda d'amore fra Gigliola e Brin, «lei che non vuole subire lo smacco dell'abbandono in un paese come Cairo, una donna che non può perdere sia sul terreno economico, sia su quello sentimentale». Al pomeriggio, tocca a Mirka Giorello. E si cambia registro. Lei, la mantide, la circe, la seduttrice che usa e divora-i suoi amanti? «Non è vero, non è questa la Gigliola che conosco io». E allora, ecco altri testimoni. Corrado Brin, agli atti: «Mi aiutò ad andare nella legione straniera, mi venne anche a trovare e gli altri la scambiarono per mia madre. Mi dette pure duecentomila lire». La gente di Cairo: «Una donna Ubera, che ci teneva alla sua vita privata». A marzo, 5 mesi prima dell'omicidio, telefonò a Cesare. Il rapporto era già in crisi, lui cominciava a minacciare di chiudere. E lei, tenerissima: «Dovevo immaginarlo che ti saresti comportato così. Ripensaci. Io ti voglio bene. Ti amo». Questa è l'altra faccia di Gigliola. Ma poi, dice l'avvocato Giorello, c'è pure l'altra faccia di Gerì: «Ogni pagina, ogni riga di questo processo trasuda della sua gelosia. Una gelosia patologica». Alla fine, «Gigliola è una che non si difende, perché vuole salvare il padre di sua fi¬ glia». Lui, invece, ha confessato, più di una volta. Mirka Giorello legge alcuni passi di quelle confessioni: «La camera da letto rappresentava per me 14-15 anni della mia vita, il posto dove tenevo abbracciate mia moglie e mia figlia. Quella sera il mio unico pensiero fu di scaraventarlo giù dal letto». Aggiunge, Gerì: «L'ho colpito in testa, come ho imparato in guerra, nelle parti vitali. Devo averlo ucciso al primo colpo, ne avrò dati altri due o tre, ma lui era già morto. Ho notato che Gigliola si è avvicinata alla finestra. Forse io ho gridato ti ammazzo, non lo so, non me ne sono reso conto». La chiosa: «So di aver peccato tremendamente». Sugli scranni degli imputati, Gigliola si agita, dissente. Sci¬ pione Del Vecchio deve fare, opera di mediazione. Ci riesce, almeno per ora. Ma questo processo riserva ogni volta una sorpresa, e altre ne arriveranno ancora. Ieri, il giovane pm Alberto Landolfi è andato in ferie, dopo le liti di fuoco, in aula. Strano. Al suo posto, c'è il procuratore capo. Michele Russo. Gigliola fa finta di non essersene accorta. Commenta appena: «Voleva condannarmi all'immortalità». Ripete, con fierezza: «Non mi ha mai mantenuto nessuno. Ho sempre lavorato». E chiude così: «Uno può dare il corpo, ma l'anima la riserva a uno solo». A chi? «Pino Gustini, mio marito». E guarda caso c'è chi sospetta che lei l'abbia aiutato a morire. Pierangelo S*s pegno Amanti diabolici. Ettore Gerì (sopra) e Gigliola Guerìnoni (a fianco) durante le udienze del processo per l'omicidio di Cesare Brin

Luoghi citati: Cairo, Savona