Strage di Bologna L'ombra dì un ricatto
Strage di Bologna L'ombra di un ricatto Legale di parte civile incontra Gelli e si dimette Strage di Bologna L'ombra di un ricatto BOLOGNA. «La mia decisione di rinunciare al mandato quale difensore di parte civile nel processo per la strage di Bologna non è stata determinata né favorita da un incontro con Lido Gelli. Respingo con fermezza tale insinuazione lesiva della mia dignità». A 48 ore dalle sue dimissioni dal collegio di difesa dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (85 i morti, 200 i feriti), l'avvocato Roberto Montorzi offre la sua versione dei fatti. Dietro la decisione non ci sarebbe l'ombra dell'ex Maestro venerabile della loggia P2, che Montorzi conferma però di avere incontrato il 5 luglio scorso, a villa Wanda, ad Arezzo, «per curiosità». Il legale bolognese definisce «una sciocchezza» l'ipotesi secondo la quale sarebbe vittima di un ricatto. Dice Montorzi: «Rivendico il diritto di rinunciare al mandato in qualsiasi momento, senza che questo debba significare che io sia vittima o complice di una manovra. Se volessi fare una manovra potrei parlare di altre cose, ma non voglio dirle, eventualmente sarà qualcun altro a farlo». In una lettera al presidente dell'Associazione delle vittime, Montorzi spiega le ragioni del suo gesto clamoroso: le «distorsioni del processo e agli effetti perversi che ne potranno scatu rire». In particolare, ritiene che contro alcuni imputati si sia proceduto senza sufficienti indizi di colpevolezza e contro altri si sia sbagliata la formulazione del reato. La scelta di accusare Gelli, Francesco Pazienza, gli ex ufficiali deviati del Sismi Giuseppe Belmonte e Pietro Musumeci di calunnia, anziché di concorso in strage, per Montorzi è stata una scelta sbagliata. Marisa Ostoianì
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