Un paese insorge contro Albertazzi repubblichino di Arrigo Petacco

Un paese insorge contro Albertazzi repubblichino Per l'esecuzione avvenuta 50 anni fa a Sestino, presso Arezzo, e rievocata da Arrigo Petacco in un'intervista televisiva Un paese insorge contro Albertazzi repubblichino «Era ufficiale fascista, un ragazzo venne fucilato, non si è mai pentito» SESTINO (Arezzo) DAL NOSTRO INVIATO Il 28 luglio del 1944, il diciannovenne Ferruccio Manini venne fucilato per tradimento — era scappato verso i partigiani — da un plotone di repubblichini, giù al cimitero di questo piccolo paese degli Appennini centrali. Quel giorno, l'ufficiale fascista in comando era il sottotenente Giorgio Albertazzi. Oggi, dopo un silenzio durato quasi mezzo secolo, il paese intero dà sfogo ai suoi cattivi sentimenti nei confronti dell'attore. «Siamo stati zitti per quarantacinque anni — dice il sindaco democristiano Ruggero Ruggeri, che aveva dieci anni all'epoca — ma il ricordo di quel giorno è sempre stato vivo in noi: vivemmo tutti insieme l'impotenza di evitare la morte di un giovane. Ora la cittadinanza ribolle». «Qui a Sestino—ricorda il sindaco — la guerra fu vista e sentita». Il paese era poco più a Nord della Linea gotica e nel 1944 ci furono combattimenti continui tra tedeschi e fascisti da una parte e partigiani dall'altra. Ma Sestino fu stranamente risparmiato. Non ci furono stragi, non ci furono eccessi. L'unica uccisione che sembra aver segnato gli abitanti è la fucilazione di quel ragazzo, Ferruccio Manini. Albertazzi trascorse quasi tre mesi qui a Sestino. Dice il sindaco: «Era un ragazzo biondiccio, molto esuberante. Gli piaceva mettersi in mostra, specie quando andava dal vinaio Fausto Bigi, dove lo vedevamo spesso. Insomma, un giovanotto un po' spavaldo come ce n'erano tanti». Ma come si comportò il 28 luglio del 19447 Nella sua biografìa «Un perdente di successo», Albertazzi scrive che Manini fu ucciso da un plotone di otto soldati estratti a sorte e comandati da un maresciallo maggiore. L'ufficiale in comando a Sestino era il tenente Pesaresi, che non c'era quel giorno. Ma poco prima aveva detto: «Fosse per me, gli lascerei il cancelletto aperto». Albertazzi aveva un'opinione diversa: «Non avevo nessuna voglia di vedere morto quel ragazzo, ma non mi piaceva nemmeno quel nostro fare i pesci in barile... Credo che se mi avessero ordinato di comandare il plotone di esecuzione, l'avrei comandato». E dieci giorni fa, intervistato da Arrigo Petacco in televisione, Albertazzi ha rievocato quel lontano episodio. «Ci ha dato fastidio in modo abnorme — dice il sindaco — il fatto che ancora una volta abbia detto che non rinnega il suo passato e che è pronto a ripeterlo nella sua pienezza. Avremmo preferito sentire parole di pentimentoEro anche disposto a dargli la mano, con piacere. Ma non lo farei, dòpo l'intervista in tv». Subito dopo la guerra, Albertazzi fu processato e condannato a un anno e otto mesi dal tribunale di Bologna per la sua attività a Sestino, ma non per l'uccisione di Manini. Finora nessun testimone oculare ha dichiarato davanti a un giudice che Giorgio Albertazzi comandò il plotone di esecuzione. Ma in tutti questi anni, dice il sindaco, il paese ha covato la certezza che «se non fu l'esecutore, fu uno dei protagonisti di quell'episodio». Ruggeri è sicuro che il paese avrebbe serbato il ricordo in silenzio per ancora mezzo secolo, senza astio e senza cercare polemiche, se Albertazzi non avesse lui stesso rivangato il passato «in modo offensivo per noi di Sestino». Domenica scorsa è stata consacrata una stele che ricorda Ferruccio Manini e la cerimonia è servita -r- oltre che a cele¬ brare la memoria di quel ragazzo non ancora ventenne — a dar libero sfogo alla rabbia dei sestinati. A volere la lapide è stato l'ex capo dei partigiani, Bruno Ercolani. «Io avevo preso Manini in consegna e in questi quarant'anni ho sempre pensato che se non lo avessi accettato — era gracile e aveva le gambe rovinate — forse oggi sarebbe ancora vivo. Per questo volevo la lapide, non per altro. A me dispiace che siano state rimestate cose di mezzo secolo fa». Ma, visto che sono state rimestate, Ercolani ricorda un ultimo episodio: «La mattina dell'esecuzione avevamo piazzato una mitragliatrice giù al cimitero per ammazzare i fascisti ed evitare l'esecuzione. Ma le munizioni non arrivarono in tempo. Meglio così. Avremmo fatto una strage». Andrea di Robiiant