Il sovrintendente: da due anni i capolavori dedicati al Santo sono chiusi nei sotterranei del Duomo di Fulvio Milone

San Gennaro sotto chiave Il sovrintendente: da due anni i capolavori dedicati al Santo sono chiusi nei sotterranei del Duomo San Gennaro sotto chiave Napoli: «La Curia nasconde il tesoro» NAPOLI. Chissà a chi darebbe ragione, il santo, se tornasse in vita. Nicola Spinosa, da cinque anni soprintendente ai beni artistici, sembra convinto che il misericordioso Gennaro, vescovo di Benevento, martire e patrono di Napoli, non esiterebbe a dargli una mano. Ma si schiererebbe addirittura contro la Curia, pur di restituire al suo popolo gli argenti, gli ori, le sculture preziose che i più valenti artigiani partenopei realizzarono nel 1631, dopo una terribile eruzione del Vesuvio? «Il tesoro, un esempio stupefacente del barocco napoletano, fu acquistato con i soldi della comunità grata a san Gennaro per lo scampato pericolo — sentenzia Spinosa —. L'intera città ne è proprietaria, eppure viene tenuto nascosto nei forzieri del Duomo, praticamente "rapito" dalla Curia». Dal suo ufficio immerso nel verde del parco di Capodimonte il soprintendente dichiara guerra alla Curia e al Comune di Napoli. «Se la città è piena di oggetti d'arte negati al pubblico, loro ne sono i maggiori responsabili. E' ora di finirla con le chiese sprangate e con le tele e le sculture ammassate nei depositi», dice. E il primo esempio citato è proprio il tesoro di San Gennaro, una collezione di circa 300 tra quadri e oggetti sacri di valore inestimabile. Spinosa dice che la Curia non c'entra nulla con quei capolavori. «Basta conoscere un po' di storia — aggiunge —. Nel 1631, dopo l'eruzione, i napoletani misero all'opera i migliori artigiani. Fu quindi costituita la Deputazione del tesoro di san Gennaro, una congregazione laica presieduta da un eletto del popolo. L'organismo esiste ancora, e a capo c'è il sindaco di Napoli. Ma in realtà ogni decisione è presa dalla Curia arcivescovile». L'ultima grande apparizione del tesoro risale a tre anni fa, quando gli oggetti più rappresentantivi e meglio conservati furono imballati con ogni cura e spediti a New York, per una mostra memorabile. «Allora — spiega il soprintendente — il sindaco aveva voce in capitolo e diede l'autorizzazione». Ma da un paio d'anni a questa parte, i capolavori dell'arte barocca partenopea sono praticamente sepolti nei sotterranei del Duomo di Napoli. «La deputazione conta poco o nulla», protesta Nicola Spinosa che racconta un aneddoto: in occasione dei festeggiamenti per il millenario della chiesa cattolica in Irlanda fu organizzata una «trasferta» del tesoro. Ma il progetto andò in fumo. «La Curia si oppose alla mostra, ogni iniziativa fu bloccata, come sospeso è il piano di realizzazione di un museo nella cappella di San Gennaro, dove i capolavori possano essere ammirati dal pubblico», spiega il soprintendente, che attribuisce al nuovo concordato tra Stato e Chiesa e alla Conferenza episcopale dell'86 la causa di molti suoi guai. «Il concordato — racconta — previde l'istituzione di una commissione paritetica che decidesse sull'utilizzazione degli antichi luoghi di culto. In realtà la commissione non si è mai insediata, e intanto la conferenza episcopale ha sancito che il problema è di competenza delle curie arcivescovili». Più d'un secolo fa, nel 1872, monsignor Gennaro Aspreno Galante completò una guida della «Napoli sacra». Furono censite trecento chiese, autentici scrigni pieni di tesori d'arte e di testimonianze della storia della città. Oggi ne sono rimaste solo centosessantuno. «La cifra deve essere divisa per due — spiega Spinosa —, perché solo la metà dei luoghi di culto sopravvissuti alle opere di risanamento urbanistico è aperta al pubblico. Il resto è in stato d'abbandono, con tutto quello che spesso c'è dentro, per la gioia dei ladri». Tocca a Ida Maietta, responsabile dell'ufficio furti della soprintendenza, snocciolare cifre da capogiro: «Dal '75 all'87 sono stati saccheggiati 142 luoghi di culto. Gli oggetti asportati sono 1687. vanno ad arredare le ville e i giardini in tutta l'Italia». I ladri hanno praticamente spogliato le storiche chiese di Santa Maria delle Grazie e Santa Maria di Betlemme. La sacrestia di Santa Croce al Mercato è stata trasformata in depo¬ sito da un commerciante di giocattoli: gli oggetti sacri sono stati chiusi in casse di legno e abbandonati al loro destino. Singolare e triste è la sorte della preziosa collezione di vasi in maiolica del '600 usati un tempo nell'antica farmacia dell'ospedale «Incurabili»: gli oggetti sono anch'essi in stato di abbandono, da quando la Usi 46 ha preso in gestione i locali. Un destino non certo migliore è riservato ai capolavori prelevati dal Comune nelle chiese divenute di proprietà del demanio. «Sono abbandonati in depositi dei quali la stessa amministrazione ha dimenticato l'esistenza — rivela Spinosa —. Un esempio? Eccolo: neh"82 scoprimmo per puro caso due pannelli di Polidoro da Caravaggio. Erano in un sottoscala del Maschio Angioino, e nessuno ne sapeva nulla. Li abbiamo restaurati, e ora sono esposti nel museo di Capodimonte. Pochi e fortunati amministratori napoletani possono invece ammirare una grande tela di Mattia Preti raffigurante la Madonna e i Santi, una Morte di San Giuseppe di Paolo de Matteis e una splendida Natura morta con pesci di Giuseppe Recco. I capolavori arredano un ufficio di Palazzo San Giacomo, sede del Municipio. Purtroppo, la presenza di tanti Santi non basta ad ispirare l'azione di chi governa la nostra città». Fulvio Milone San Gennaro. La processione di maggio in cui sfilano le statue d'argento

Persone citate: Gennaro Aspreno, Giuseppe Recco, Ida Maietta, Mattia Preti, Nicola Spinosa, Paolo De Matteis, Spinosa