Ruspe nei campi degli antichi Romani di Liliana Madeo

Ruspe nei campi degli antichi Romani I lavori per il Canale dell'Emilia-Romagna stanno distruggendo una delle ultime centuriazioni Ruspe nei campi degli antichi Romani Strade e fossi da millenni a guardia dei terreni coltivati ROMA. Con una spesa di circa 100 miliardi di lire, lo Stato sta per potenziare l'irrorazione delle campagne emiliano-romagnole con acque largamente inquinate: secondo uno studio del Cnr, nel Po sono presenti mercurio, piombo, rame, zinco, fenolo, detergenti, oli minerali, fosfati, batteri, virus, miceti. Sempre con la stessa opera pubblica si sta per distruggere il solo esempio che sopravvive di centuriazione romana a orientamento astronomico, orientato cioè sul movimento del sole. Questa struttura si estende per circa 40 chilometri quadrati nel triangolo compreso fra Cesena, Villalta, Bagnile, e risale a più di duemila anni fa: è la straordinaria testimonianza di come i veterani delle legioni romane qui si erano insediati, dividendo i terreni in un fitto reticolo di centurie (ogni centuria era un quadrato di una cinquantina di ettari), tracciando — ad angolo retto — un sistema di fossati, siepi, sentieri, strade interpoderali che raccontano meglio di ogni trattato o cronaca d'epoca quel mutamento del paesaggio provocato dai romani con le loro opere di bonifiche, canalizzazioni, prosciugamento di interi territori, regolarizzazione dei fiumi, drenaggi. Un'attività che consentì, per secoli, di controllare le alluvioni e di promuovere agricoltura, insediamenti, reddito. Le ruspe sono già in azione, in un turbinìo di interrogazioni parlamentari (una presentata persino al Parlamento di Strasburgo, da un deputato inglese), perplessità e proteste (anche di privati cittadini, di associazioni culturali, dei coltivatori della regione Emilia-Romagna), esposti alla magistratura (l'ultimo, di Italia Nostra, presentato alla Pretura di Cesena nel giugno '89), fonogrammi del ministero per i Beni Culturali che accrescono lo sconcerto e le preoccupazioni. Il caso si è aperto esattamente dieci anni fa, quando in prossimità della campagna di Cesena arrivarono i lavori di un'imponente opera idraulica, il Ca¬ nale emiliano-romagnolo. Già concepito nei tempi di Napoleone, ripreso durante il fascismo (doveva chiamarsi Canale Mussolini), finalmente avviato nel dopoguerra, il maxi-canale — congiungendo il Po (BondenoFerrara) con l'Uso (a Nord di Rimini) — si propone di portare l'acqua del Po nella pianura orientale dell'Emilia-Romagna. Nel '79 si scoprì che il canale, dopo aver percorso cento chilometri con un tracciato rettilineo, invece di proseguire dritto verso il Sud, con una incredibile serpentina di sedici curve a novanta gradi doveva passare proprio attraverso i campi centuriati, distruggendo quello che è considerato «uno dei più significativi esempi di conservazione dell'agrimensura romana». Arrivarono sul posto studiosi di tutto il mondo. Era uno scandalo. La Sovrintendenza archeologica per l'Emilia propose un tracciato alternativo, in linea retta, a Nord della famigerata serpentina. Il ministero per i Beni Culturali, nell'83, fa¬ ceva proprio «il parere negativo alla costruzione del predetto tronco del canale» espresso dai Comitati di settore per i beni archeologici e per i beni ambientali e architettonici. Nell'85, con un decreto, poneva i primi vincoli sulle maglie centuriate e annunciava: «Questa amministrazione sta istruendo gli atti necessari all'imposizione di vincolo archeologico nell'area interessata». Le speranze di un blocco definitivo della serpentina si fecero concrete. Poi tutto è incominciato a precipitare. Maggio '88: il Fio stanzia 48,5 miliardi per la costruzione di una parte del canale (secondo i preventivi dell'87, ogni chilometro doveva costare 4,6 miliardi). Febbraio '89: il ministero per i Beni Culturali riconosce che il tratto del canale in questione «coinvolge una delle aree più conservate e di interesse particolarmente importante sotto il profilo archeologico e storico», ma fa due affermazioni straordinarie. Primo: «L'ipotesi del tracciato più a Nord, anche se più auspicabile per la salvaguardia della suddivisione in centurie, non è praticabile per difficoltà di diversa natura», diventa quindi accettabile «la soluzione del tracciato originario, con le modifiche suggerite dal Consiglio nazionale (eliminazione del maggior numero di gomiti)». Secondo: le centurie vincolate sono state soltanto «un campione». Aprile '89: la Sovrintendenza archeologica di Bologna dà il nulla-osta per «interventi ricognitivi» nella zona, a patto che «il controllo dei lavori di scavo e i sondaggi siano condotti da personale specializzato di gradimento di questa Sovrintendenza». Giugno '89: ambientalisti di Cesena fanno un sopralluogo e scoprono grandi macchine al lavoro, scavi profondi oltre 5 metri e per fasce di oltre 40 metri, nessuna cautela, nessun controllo. Altro che ricognizione, dicono. E si rivolgono alla magistratura. Il romanzo continua. Liliana Madeo

Persone citate: Villalta