Falcone aveva scoperto i re del riciclaggio di Francesco La Licata

Falcone aveva scoperto i re del riciclaggio Le accuse del «corvo» fanno parte di un piano per salvare il traffico dei narcodollari da Palermo alla Svizzera Falcone aveva scoperto i re del riciclaggio Le lettere dovevano «giustificare» l'eliminazione del magistrato PALERMO DAL NOSTRO INVIATO L'indagine sul «corvo» di palazzo di giustizia è ormai come un fiume in piena. Travalica i confini dell'identità da dare all'anonimo denigratore del giudice Giovanni Falcone, per confluire nel magma bollente che è l'inchiesta sull'attentato al magistrato più blindato d'Italia. Tutto questo nella ipotesi, sempre più accreditata, secondo cui sia le calunnie che i candelotti di gelatina farebbero parte di un disegno, partorito da quelle «menti raffinatissime» alle quali Falcone ha fatto riferimento all'indomani dell'agguato. In questo scenario trovano posto personaggi pubblici, funzionari dei servizi segreti, che assumono ruoli di «talpe», difensori di interessi occulti, insabbiatori. Comparse, che si muovono nella palude della finanza sospetta, nel mondo dei riciclatori di professione, fra la Sicilia e il «paradiso fiscale» della Svizzera. Un'inchiesta colossale che ha già fatto più d'una vittima illustre, da Elisabeth Kopp, ministro della Giustizia costretta alle dimissioni, all'industriale bresciano Tognoli, allo stesso Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, al boss don Leonardo Greco, sospettato di utilizzare il suo ruolo di imprenditore per mascherare un riciclaggio di dollari provenienti dal traffico internazionale della droga. Su tutte queste storie, apparentemente slegate, Falcone ha messo le mani. Partendo da spezzoni di indagine su Bagheria e rincorrendo il filo delle ricchezze sospette di Ciancimino, il giudice si è imbattuto in vicende che con la Sicilia hanno molti punti di contatto. Anche con lo scandalo della «Shakarchi Trading SA», la finanziaria di Zurigo, accusata di riciclaggio, cui faceva capo l'avvocato Hans Kopp, marito del ministro della Giustizia travolta dallo scandalo. Ed è proprio per parlare di queste vicende che il giorno dell'attentato, due magistrati elvetici erano giunti a Palermo con i dossier sul traffico della droga e sul modo con cui la piovra riesce a cancellare l'illecita provenienza dei dollari. Ma dell'arrivo dei colleghi svizzeri non era informato solo Falcone. Una «talpa» aveva passato la notizia a Cosa nostra, indicando anche il momento opportuno per colpire il giudice divenuto troppo pericoloso, per avere avuto accesso ai «santuari» della finanza svizzera. Chi può essere tanto informato sull'attività e sui movimenti di Falcone? Gli investigatori vanno per ipotesi, ma non tralasciano elementi acquisiti in precedenza. Nell'inchiesta sui narcodollari si è arrivati a sospettare del ruolo ambiguo esercitato da funzionari dei servizi di sicurezza. Uno dei protagonisti di quell'indagine, l'industriale Tognoli, detenuto in Svizzera, avrebbe fatto più di un'ammissione e lasciato intendere che fu consigliato alla fuga da «un amico altolocato». Quanto vale l'impero econòmico che le indagini di Falcone possono mettere in pericolo? La risposta è nella sua cassaforte: milioni di dollari: E altri conti in banca dovranno essere «scoperchiati»: centinaia, quanti sono i nomi siciliani coinvolti nell'inchiesta che va avanti in Svizzera. Per avere un'idea del «giro» basti pensare a uno degli episodi presi in considerazione dagli investigatori. Quasi tre miliardi di lire che vengono' spostati da una banca all'altra da don Leonardo Greco, per conto della società che gestisce con Tognoli. Dove vanno a finire quei soldi? In un conto intestato a un nome fantastico. Chi vi si cela dietro? I sospetti si puntano su Ciancimino. Ma perché un boss dovrebbe pagare più di due milioni di dollari a don Vito? Anche qui un sospetto: quei soldi potrebbero essere il prezzo di tangenti pagate in cambio dell'esclusiva per la vendita, nella Sicilia Occidentale, del tondino di ferro prodotto dalla società TognoliGreco. Tre miliardi per una operazione: quali cifre si raggiungono, se si prendono m considerazione i proventi del traffico della droga? Questo il grande affare del quale il giudice Falcone sta al¬ zando il coperchio. E chi ha da temere, pensano gli investigatori, ha capito il rischio che si corre. Tanto che avrebbe già deciso di passare alle contromisure, organizzando una congiura che utilizza ambienti diversi e più d'un funzionario infedele. Il sospetto è che una regìa unica abbia deciso l'eliminazione del supergiudice, forse strumentalizzando debolezze caratteriali e invidie personali. - Le calunnie, sospettano gli investigatori, dovevano precostituire un movente all'attenta* to. La morte di Falcone avrebbe dovuto essere attribuita ad una. vendetta contro un magistrato che aveva consentito al pentito Contorno di farsi giustizia (queste le accuse dell'anonimo). Sarebbe scomparso il riciclaggio, si sarebbe parlato di una quasi «legittima» ritorsione mafiosa contro un uomo che era andato al di là dei suoi compiti istituzionali. Ma l'attentato è fallito e Falcone è vivo. Ed è anche la principale fonte degli investigatori che si occupano della bomba all' Addaura. L'inchiesta è nelle mani del procuratore di Caltanissetta, Salvatore Celesti, il magistrato che adesso ha ricevuto il rapporto di Sica sul «corvo» di Palazzo di Giustizia. Forse non è un male che, almeno in questo caso, due diversi filoni di indagini siano finiti nello stesso ufficio. Francesco La Licata L'Alto Commissario antimafia Sica ha rilevato le impronte del «corvo» e le ha Inviate ai giudici di Caltanisetta