Bush: e ora andremo su Marte

Bush: e ora andremo su Marte A venti anni dall'Apollo 11, gli Usa lanciano la sfida interplanetaria Bush: e ora andremo su Marte «Prima tappa, colonizzare la Luna» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Davanti agli astronauti che vent'anni fa conquistarono la Luna, il presidente Bush ha assunto ieri l'impegno di colonizzarla e farne la base per sbarcare su Marte. In un discorso ispirato a quello con cui Kennedy, nel '61, varò il programma Apollo per superare l'Urss nella coi sa allo spazio, Bush ha presentato un piano in tre parti per il ritorno dell'America nel cosmo. Entrata in funzione della stazione orbitante «Libertà» per il '99. Successiva costruzione di una grande base pennamente . sulla Luna. Infine, la spedizione su Marte. «L'America — ha detto — non smetterà mai di cercare nuove frontiere». Bush ha così invertito la progressiva tendenza di Nixon, Carter e Reagan — succubi del bilancio o delle istanze militari — a ritirarsi dallo spazio di fronte all'avanzata sovietica. Il Presidente ha descritto la ripresa delle missioni umane come una necessità scientifica e un dovere di leadership mondiale. Ma Bush non ha fatto date né fornito cifre, affidando al «Consiglio spaziale» (presieduto dal suo vice, Quayle) il compito di definire il programma. Il leader della maggioranza democratica alla Camera, Gephardt, ex candidato alla presidenza, ha promesso pieno appoggio a Bush. «Siamo il partito di Kennedy e Johnson — ha detto — cui sono legati i trionfi americani nel cosmo». Ma Gephardt ha ammonito che Bush dovrà stabilire «ordini di precedenza chiari». «La sola stazione spaziale — ha ricordato — costerà 30 miliardi di dollari, 4 in {>iù dell'intero progetto Apolo». Sono 42 mila miliardi di lire, il bilancio di un piccolo Stato del Terzo Mondo. Il Presidente ha adombrato una via d'uscita nella collaborazione se non con l'Urss di Gorbaciov con l'Europa di Kohl e Mitterrand. Bush ha presentato il suo disegno durante la cerimonia per il ventennale dello sbarco di Armstrong e Aldrin sulla Luna. Accompagnati da Collins, il terzo membro dell'equipaggio che restò ad aspettarli in orbita, e dal direttore della Nasa Truly, i due ex astronauti hanno chiesto che l'America «ritorni ai suoi destini cosmici». «Abbic mo riposato troppo a lungo sugli allori dell'Apollo — ha detto Armstrong —: dobbiamo riprenderne i motivi ispiratori di pace e progresso». Bush ha accolto subito l'invito: «Andremo sulla Luna, ma questa volta per restarci. Il sistema solare sarà la nostra nuova frontiera, dopo Marte ci spingeremo ancora più avanti». L'erede di Reagan ha dedicato il suo piano «ai dieci eroici astronauti morti al servizio del Paese», i tre dell'Apollo 1 (nel '67) e i sette del Challenger nell'86. Ha sottolineato che l'America è l'unica potenza a possedere i mezzi necessari alla conquista planetaria: «Ancora oggi, solo la nostra bandiera sventola sulla Luna», e che lo sforzo tecnologico «sarà superiore persino a quello dei tempi di Kennedy e Johnson». Restare ancorati alla Terra, ha dichiarato, sarebbe limitarne lo sviluppo e negare la vocazione dell'uomo alla scoperta. Una sonda automatica, la Pioneer 10 in viaggio versoi confini del sistema solare, ci aprirà la strada, ha aggiunto. Anticipando le accuse di quanti vorrebbero anteporre la difesa dell'ambiente alle esplorazioni spaziali, Bush ha ricordato come la stazione orbitante, che verrà montata a partire dal '95> e la base lunare, prevista dopo il Duemila, saranno anche un'«arma ecologica». Le loro ricerche, ha concluso, serviranno a migliorare la qualità della vita: il vecchio mondo non sarà sacrificato al nuovo. Ennio Carette ■ ALTRI SERVIZI A PAGINA 6

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