CASANOVA: LUIGI XVI NON CONOSCEVA IL POPOLO

CASANOVA: LUIGI XVI NON CONOSCEVA IL POPOLO CASANOVA: LUIGI XVI NON CONOSCEVA IL POPOLO // «Ragionamento» inedito di Casanova, del quale pubblichiamo qui altri passi,*è citato per la prima volta in Italia in un articolo di A. Rcwà, «Casanova e la Rivoluzione francese» apparso sul «Marzocco» il 25 dicembre 1910. Ma nessuno lo cercò. Forse lo si confuse con un altro testo edito in Francia nel 1886, dal titolo «Riflessioni sullaRivoluzione francese». Del resto il giudizio di Casanova sull' 89, ritorna, sempre aspramente critico, in numerose pagine, dalla «Morte diRolìespierre» alla «Lettera alla principessa di Clary». Casanova pensava di svolgere il «Ragionamento» attraverso una serie di «articoli da considerare come i caratteri dei personaggi se scrivessi una commedia». E nel piano dell'opera, rimasta incompiuta, elenca una cinquantina di voci: «Libertà, Eguaglianza, Ricchezza, Povertà, Giustizia, Crudeltà, Coraggio, Vendetta, Spettacolo, ecc.». In epigrafe pose il motto: «niente è più diseguale dell'eguaglianza». Un pcuadosso, osserva Mario Battagliai nell'introduzione al volume curalo con Maria Pia Critelliper le Edizioni Lavoro, che ben sintetizza lo spirito del «Ragionamento», una specie di «summa» della dialettica di Casanova, libertino anarefuco-controrivoluzionario. Di Casanova, proprio in questi giorni, arriva in libreria il volume conclusivo della «Storia della mia vita», edito nei «Meridiani» di Mondadori, a cura di Piero C/uara e Federico Roncoroni (pp. 1376, L.55.000). LA Rivoluzione francese solo poteva e doveva esplodere sotto un re virtuoso, ma sfortunatamente male istruito. Tale era Luigi XVI. San Luigi, Luigi XII, Enrico IV furono certamente virtuosi; ma anche tanto istruiti da sapere che non dovevano mai allentare le brighe ad una nazione che era loro soggetta per il solo fatto di aver avuto per nascita il diritto di signoreggiarla. Essi ben sapevano che, sia per natura che per carattere, la nazione francese poteva restare assoggettata solamente con la forza, e con tutte le loro energie dovevano tendere a mascherare tale forza sotto il velo dei benefìci di cui di fatto la colmarono, dei piaceri che le procurarono e della mitezza delle leggi che le imposero. Per sua sventura, Luigi XVI credeva che tutto fosse semplice e che la sottomissione della nazione alla sua carica di monarca fosse tanto naturale e ineluttabile quanto il diritto alla corona che gli spettava per nascita. E, confrontando la condizione del suddito con quella del sovrano, riteneva il suo compito assai più faticoso di quello stesso della nazione. Questo re sfortunato si ostinava in una sorta di virtù che ben può appartenere a un re, ma con accorgimenti spesso crudeli. Agli inizi del regno credette sinceramente di essere amato; e appena ebbe qualche motivo di dubitarne, non dubitò tuttavia di poter forzare questo suo stesso popolo ad amarlo. Infelice! Egli non conosceva né la sua nazione, né i suoi doveri fonda¬ mentali, che consistevano nel mantenimento della sua autorità e delle sue prerogative, e nella salvaguardia della propria persona. Non gli passò mai per la mente di poter trovare tra i suoi sudditi dei mostri che avrebbero osato ATTENTARE AD ESSA Sventurato sovrano! Non conosceva il popolo in generale, né il carattere efferato e brutale del suo, né ancora lo conobbe alla fine della sua breve vita. Il testamento scritto di sua mano è un monumento del suo carattere e del suo modo di pensare. La speranza che egli lascia trasparire, che suo figlio possa salire sul trono, dimostra, attraverso ciò che gli raccomanda, non solo che crede di essere stato lui la causa principale della sua rovina, ma che la nazione che lo assassinava era ancora degna di avere un padre amony-

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