IL ROMANZO VA A TEATRO di Simonetta Robiony

IL ROMANZO VA A TEATRO IL ROMANZO VA A TEATRO Celine, Marquez, D'Arrigo, Yourcenar: quest'anno tutti in scena Perché? Rispondono alcuni protagonisti "V* ROMA km ; UCA Ronconi per. ,! j Spoleto, ma sopratI tutto per Franco Sm Branciaroli, ha scelto , | Celine e di Celine Pi j «Pantomima per HI J un'altra volta», un Wm M testo tradotto per la JmL^éS scena già da Giovanni Raboni. Carlos Gimenez, ancora per Spoleto, ha preso invece un racconto di Marquez scritto prima di «Cent'anni di solitudine», «Nessuno scrìve al colonello», e lo ha portato sulla scena con la compagnia venezuelana Rajatabla. Roberto Guicciardini per Taormina ha voluto «Orcyhus Orca» di D'Arrigo, romanzo epico di vastità e complessità rara, difficilmente riducibile a testo teatrale. Maurizio Scaparro l'«Adriano» di Marguerite Yourcenar e con 1" «Adriano» debutta a fine luglio, per l'esattezza il 26, nella cornice inconsueta della villa che l'imperatore volle farsi costruire a Tivoli come rappresentazione scenografica del suo modo di essere. Edoardo Sanguinei!, poi, si è addirittura buttato su 1' «Inferno» di Dante e con la complicità di Federico Tiezzi e dei Magazzini criminali l'ha portato in scena al Fabbricone di Prato. Cos'è: una coincidenza o una moda? E perché proprio adesso tanti spettacoli teatrali costruiti su testi nati per essere letti e non rappresentati? Segno di stanchezza verso la messa in scena tradizionale, classica anche quando alternativa? Oppure segno di vitalità da parte di un teatro che non vuole morire? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei protagonisti di questa stagione teatrale e ad alcuni osservatori esterni del fenomeno.Curiosamente su una cosa tutti si sono trovati d'accordo: per un regista, oggi, ma anche ieri, o almeno l'immediato ieri, affrontare un romanzo, un saggio, un poema e trasportarlo sulla scena è un atto fortemente liberatorio , una sfida tentatrice, un modo per sentirsi pienamente autori, e autori contemporanei, perché il teatro non è più parola recitata ma spettacolo a tutto tondo. Dunque, perché tanto teatronon teatro? Luca Ronconi che esordisce precisando puntigliosamente come il suo Celine non sia un vero e proprio allestimento ma solo una «serata di poesia con luci» tradotta per l'occasione da Patrizia Valanga, nega che ci sia una qualche ragione dietro quest'affollarsi di adattamenti per la scena di pagine scritte per non andare in scena: «Pura coincidenza — dice secco —: Né novità né scoperta: s'è sempre fatto. Mi ricordo spettacoli da Dostevskij, Flaubert, Tolstoj, tanto per citarne alcuni. Non è cambiato niente». Più esauriente Edoar¬ do Sanguineti, che proprio in coppia con Ronconi portò in teatro vent'anni fa 1'«Orlando furioso» di Ariosto facendone uno spettacolo meraviglioso ed esemplare. Afferma Sanguineti con la chiarezza dei professori universitari quando sono bravi; «Ci sono due ragioni dietro la voglia di portare in palcoscenico testi che al palcoscenico non sono destinati. La prima è la pochezza del teatro contemporaneo, italiano e no, che rende poco allettante tentare certe messe in scena. La seconda è che ia teatralità odierna ha bisogno di immagini evidenti, di elementi fisici, di quell'effetto di spaesamento che può dare solo il ritrovare in una forma sorprendentemente nuova parole e spessori accumulati nella memoria. Niente meglio di Dante perciò». E se questa Commedia dell'Inferno andrà bene Sanguineti promette di insistere con il Purgatorio e il Paradiso. Sostanzialmente d'accordo con lui Angelo Guglielmi, raffinato critico letterario nonché vivace direttore della terza rete della Rai: da studioso della comunicazione che non si sporca le mani con la produzione teatrale, quella televisiva naturalmente non può evitarla, spiega: «E' una questione di formalizzazione nuòva: il teatro è un genere desueto, decaduto, poco consono alla nostra società. Mettere in scena il teatro classico significa rappresentare qualcosa che non ha più una gran ragione d'essere, mentre mettere in scena un romanzo significa proporre un genere tradizionale ma sotto un aspetto diverso. Per questo parlo di nuova formalizzazione. No, tutte queste coincidenze non sono un caso. C'è una ragione profonda: il teatro può sopravvivere al teatro solo se è pretesto per un'altra cosa. Ed è prò- ! prio quest'altra cosa che i registi stanno cercando». Caso tipico di questa voglia di far teatro partendo da un altra parte è Roberto Guicciardini, ex Gruppo della Rocca, oggi in proprio, alle prese in questi giorni con r«Ùrcynus Orca», ma fin dagli Anni Settanta al lavoro anche con «Perei à» di Palazzeschi, «Candido» di Voltaire, «I gioielli indiscreti» di Diderot. Eppure proprio Guicciardini sostiene che dietro questa scelta non c'è la penuria di testi teatrali contemporanei. «E' ingiusto pensare che non si scrivano più cose buone per il teatro: io stesso ho fatto "Porcile" di Pasolini ed era un, lavoro straordinariamente riuscito». Ridurre il dibattitto sul modo di far teatro a uno scambio di contumelie tra il regista che accusa l'autore di non sapere più scrivere e il drammaturgo che accusa il regista di non osare di allestire un testo ignoto gli sembra una miseria. «La questione — dice — è che è più stimolante confrontare due codici diversi di scrittura, quella scenica e quella letteraria, piuttosto che limitarsi a uno solo. Questa è la verità». Lo smentisce, e lo smentisce drasticamente, lo scrittore Raffaele La Capria. «In Italia se leviamo Pirandello non c'è una tradizione di autori teatrali. E' la lingua italiana che poco si piega alle esigenze di un dialogo che imiti in qualche modo il parlato. La nostra grande tradizione è il teatro dialettale, quello napoletano innanzi tutto, ma anche il siciliano, il genovese, il veneto. Goldoni, il nostro autore più classico, è in fondo un autore dialettale. Ecco perché i Carmelo Bene, i Perlini prendono a piene mani dappertutto e ricreano a modo loro uno spettacolo. Ma bisogna esser bravi per farlo e dimenticare completamente il punto di partenza, altrimenti meglio allestire un testo classico. Operazioni come quelle di questa stagione che io ricordi sono state già tentate con Gide, Kafka, Henry, James, ma di quegli allestimenti s'è persa memoria». Un discòrso a parte, diverso, lo fa Maurizio, Scaparro, direttore dello Stabile di Roma, in questi giorni impegnato con la riduzione in .frammenti di «Le memorie di Adriano» per Gior- gio Albert azzi, spettacolo che a scelto, dice, sia perché, a mediare, tra noi e l'imperatore romano c'è già stata la Yourcenar sia perche à mediare ulterioremente tra lui e il pubblico ci sarà la cornice di villa Adriana. Spiega Scaparro: «La verità è che mentre fino a un secolo fa spettacolo tanto di parola quanto di musica era quello che avveniva in un luogo specifico chiamato teatro oggi spettacolo è anche il cinema, la canzonetta, la televisione, i video, le performance artistiche e quant'altro. Il regista teatrale è un uomo che vive in questa società: perché solo lui dovrebbe resistere alle sollecitazioni che riceve riproponendo il "suo" spettacolo sempre uguale a se stesso?». Simonetta Robiony Un'ùrtmagine di Marguerite Yourcenar Delia scrittrice si rappresenta a teatro «Memorie di Adriano»

Luoghi citati: Italia, Prato, Roma, Spoleto, Taormina, Tivoli