La Chiara come la Coniglia di Giorgio Gualerzi

La Chiara come la Caniglia A Verona «Forza del destino» diretta da Lazarev con regia di Bolchi La Chiara come la Caniglia 77pubblico interrompe per applaudire • VERONA. In Arena le sorprese sono sempre all'ordine del giorno, anzi della notte. Sabato, in occasione della fortunata «prima» della «Forza del destino», è accaduto che sul finire dell'aria di Alvaro il tenore ha tenuto ima lunga «corona» sulla parola «pietà», con il risultato di vedersi interrotto, prima dello scatto conclusivo da un irrefrenabile applauso. Dimostrazione più che convincente che Giuseppe Giacomini aveva perfettamente colto nel segno, offrendo una prestazione di notevole valore espressivo, ulteriormente esaltato dalla penuria che affligge l'odierna categoria tenorile: questo friulano è una sorta di curioso incrocio timbrico-tecnico, sia pure in minore, fra Merli e Del Monaco, ovvero un valido esemplare di moderno tenore drammatico. . Ma al tempo stesso l'applauso intempestivo ha messo in evidenza una fondamentale mancanza di «cultura operistica» da parte del vasto pubblico areniano, che poi ha mostrato anche carenza di gusto e di stile nell'applaudire calorosamente lo scombiccherato Melitone di Giampiero Mastromei, che pareva un'edizione riveduta e «scorretta» del «buffo parlante» della farsa settecentesca. La verità è che sabato sera il pubblico che gremiva l'Arena ai limiti della capienza era ben disposto nei confronti di tutti: del direttore Alexander Lazarev, che ha gestito con sicurezza il suo impegnativo esordio areniano. Della regia vivace e sbarazzina di Sandro Bolchi, costruita sul funzionale impianto scenico di Gianfranco Padovani; di Bruno Malusa e Aldo Danieli, responsabili rispettivamente della coreografia e dell'ottimo coro. Di Giorgio Zancanaro, indi¬ scutibilmente il migliore di tutti per linea di canto e misura espressiva. Di Maria Chiara, che intelligentemente ha sfruttato la corrente di simpatia esistente con il pubblico dell'Arena per offrirgli la prima Leonora, che nei pregi come nei difetti sembra volersi richiamare alla Caniglia di quarantanni fa. Di Bruna Bagliori, la cui Preziosilla, ci perdonerà la gentile signora, non è sembrata affatto inappuntabile. Di Bonaldo Giaiotti, ancora capace di infliggere una lezione di stile a tutti i burchuladze di questo mondo. E infine persino del basso Filippo Militano, un Marchese che (ahimè) pareva capitato lì per caso. Festa grande, dunque, con Verdi forse meno corrucciato del solito. Giorgio Gualerzi

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