«In Abkhasia è la guerra» di Emanuele Novazio

«In Abkhasia è la guerra» La gente si arma, treni bloccati, detenuti in libertà: la violenza etnica si estende «In Abkhasia è la guerra» Un funzionario: la situazione è fuori controllo MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La violenza si diffonde in Abkhasia, la Repubblica autonoma affacciata al Mar Nero e sotto amministrazione georgiana: dalla capitale Sukumi, confermava ieri in Parlamento il ministro degli Interni Bakatin, i disordini fra abkhasi e georgiani, che sabato hanno fatto dodici morti e 124 feriti, si sono estesi ovunque nella regione e sono sconfinati in Georgia. Centinaia di armi da fuoco sono state sequestrate ma «la gente si arma da sé e continua a farlo» prendendo d'assalto le sedi della milizia. Decine di treni sono paralizzati per lo sciopero del personale e migliaia di turisti, comprese intere colonie di bambini, sono bloccati in condizioni tremende, al caldo e senza bere. Sulla Repubblica sembra soffiare un vento di guerra, un «umore guerriero», come denunciavano ieri le «Izvestia». «Non ci sono abbastanza uomini delle truppe speciali», «la situazione è al di fuori di ogni controllo», quasi gridava, al telefono, un funzionario locale del partito, ieri mattina. A sera, le Izvestia davano una spiegazione e un senso ai suoi disperati timori: quando citavano «informazioni allarmanti secondo le quali gruppi armati si dirigono dalle regioni occidentali della Georgia verso la Repubblica autonoma», quando parlavano di «180 detenuti, fra i quali criminali pericolosi, liberati da bande armate che si sono impossessate di 15 mitragliatrici», quando parlavano di un «cinema occupato nel centro di Sukumi, a 500 metri dalla sede del comitato regionale del partito, in un quartiere abitato per lo più. da georgiani». Sembrano davvero descrizioni di guerra, sembra davvero una situazione che rischia di precipitare ma che già è sfuggita al controllo, e che ha influito certo nella decisione, annunciata ieri dal portavoce Gherasimov, di rinviare il plenum sui problemi delle nazionalità previsto per la fine del mese. Perché tutto il Paese è scosso dalle tensioni nazionalistiche, e se l'Abkhasia esplode, il Nagorny Karabakh torna a infiammarsi: soltanto la presenza massiccia delle truppe speciali ha evitato altri scontri ma la «situazione è esplosiva», informava ieri la «Tass», mentre «centinaia di persone continuano a riunirsi per le strade e in piazza», ogni giorno. . E' l'Abkhasia, naturalmente, a preoccupare di più il Cremlino, a due settimane dal drammatico discorso di Gorbaciov al Paese, dal suo appello alla «pace etnica» per scongiurare una «catastrofe per la perestrojka». Il bilancio degli scontri potreb¬ be presto aggravarsi, perché i focolai di violenza sono tanti e diffusi: anche ieri, dopo una giornata di calma relativa, gruppi delle due comunità si sono affrontati a Gagra, Gudauta e Ochamchire, le principali città lungo la costa del Mar Nero, e a stento le truppe speciali sono riuscite ad evitare altre vittime. Anche ieri Sukumi è rimasta per l'intera giornata divisa in due, con i soldati a far da cuscinetto fra. georgiani e abkhasi, mentre da ieri i georgiani rispondono con lo sciopero alle richieste abkhase di secessione. Anche ieri, nessuno ha ascoltato l'appello del segretario del partito georgiano, Gumbarize. . Anche ieri, a Mosca ci si chiedeva perché la crisi, una delle più gravi per Gorbaciov. E' cominciato sabato con scontri fra gruppi di abkhasi e georgiani, armati di bastoni, di pietre e pistole, ma da tempo fra le due comunità c'era astio, tensione: gli abkhasi, musulmani e ormai minoranza anche in Abkhasia, 83 mila contro 213 mila georgiani, vogliono la piena autonomia dalla Georgia, il riconoscimento di Repubblica federata dunque, e temono per la sorte della loro lingua, per la loro cultura. I disordini, sabato, sarebbero esplosi proprio per questo, perché l'università di Tbilisi sta per aprire una sede a Sukumi, e gli abkhasi hanno paura per la propria identità nazionale. I georgiani accusano: dietro le manifestazioni di aprile a Tbilisi, concluse con le cariche delle truppe speciali e 20 morti, c'erano le tentazioni secessioniste degli abkhasi, sostenute forse da chi, a Mosca, ha interesse a mettere in difficoltà il nazionalismo georgiano. Ieri, un responsabile del «Forum popolare abkhaso», il movimento secessionista, spiegava che non c'era più scelta: «Abbiamo scritto al Soviet Supremo, una commissione del Parlamento è venuta a vedere che si poteva fare. Non è successo niente. Non ci resta che la violenza». Emanuele Novazio

Persone citate: Bakatin, Gherasimov, Gorbaciov

Luoghi citati: Georgia, Mosca