«Il bancario è un pubblico ufficiale»
«Il bancario è un pubblico ufficiale» «Il bancario è un pubblico ufficiale» Per i giudici ilprincipio vale anche negli istituti privati NAPOLI. Interpretando precedenti verdetti di Cassazione, Corte di Giustizia Cee e Corte Costituzionale, i giudici del tribunale di Napoli sostengono che agli «operatori» bancari, quando svolgono la normale «attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, non sono riferibili le qualificazioni di pubblici ufficiali». Tale qualifica scatta invece soltanto quando ì dirigenti di una banca si occupino invece di «crediti speciali», nei quali prevale l'interesse a «finanziare attività economiche di pubblico interesse». Le conseguenze della sentenza, che potrebbero sembrare di semplice interesse giuridico, sono invece importanti anche dal punto di vista pratico. Dipendenti e amministratori degli istituti di credito, qualora si riscontrino loro responsabilità in qualche operazione poco pulita relativamente a «crediti speciali», possono infatti essere accusati di peculato, così come i clienti coinvolti di corruzione di pubblico ufficiale. In sostanza, si tratta di un particolare avvertimento ai direttori di filiale o agli impiegati che si occupino di fidi industriali: in quel momento, anche se la banca è privata, diventano pubblici ufficiali, come se si trattasse del funzionario di un assessorato. Il principio giuridico emerge dalla sentenza pubblicata qualche tempo fa dal tribunale di Napoli (presidente Colangelo, a latere Esposito e Nicotre) su un caso che fece scalpore e sul quale devono ancora pronunciarsi i giudici di secondo grado: lo scandalo dei «fidi facili» al Banco di Napoli, chiuso in primo grado con una sentenza di otto condanne e sette assoluzioni. Una vicenda che incominciò nel settembre '85, prendendo le mosse dalle indagini sull'attività di Domenico Di Maro, considerato 1' «agente immobiliare» del clan.di Lorenzo e Aniello Nuvoletta. Si scoprirono indebite commistioni tra attività bancarie e organizzazioni ritenute legate alla camorra, tanto da aver portato alla concessione di crediti per un centinaio di miliardi, secondo l'accusa privi di adeguate garanzie. Nello scandalo furono coinvolti diversi imprenditori, oltre al vicedirettore vicario del Banco di Napoli Raffaele Di Somma e al figlio Maurizio, poi assolto: fra loro Giovanni Maggio, forse il più noto imprenditore di Caserta, presidente dell'Unione Industriale. Arrestato e poi rimesso in libertà, Maggio è morto per un male incurabile prima del processo, e i giudici lo hanno assolto in base alle considerazioni riportate dalla sentenza in relazione ai reati di peculato e dì falso, mentre hanno confermato l'assoluta estraneità di Maggio a qualunque rapporto con esponenti della camorra. Al centro delle accuse vi erano i fidi concessi all'imprenditore dalla filiale di Caserta del Banco: nella sentenza vengono appunto definiti «crediti ordinari» dovuti a un «esercizio di natura privatistico-imprenditoriale», facendo cadere l'accusa di peculato. Quanto ai presunti legami di Maggio con organizzazioni criminali li aveVa già esclusi la sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Paolo Mancuso, quando scrisse che «non è emerso alcun elemento in grado di giustificare le illazioni circa rapporti tra Maggio e il mondo della criminalità organizzata di tipo camorristico». E la sentenza del tribunale di Napoli ha ribadito la totale esclusione di tali rapporti. [r. i.l A Napoli sentenza conferma: Giovanni Maggio estraneo a rapporti con la camorra
Persone citate: Aniello Nuvoletta, Colangelo, Esposito, Giovanni Maggio, Maggio, Paolo Mancuso, Raffaele Di Somma
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