Lo cercavano a 300 chilometri dalla prigione di Giuseppe Zaccaria

Lo cercavano a 300 chilometri dalla prigione I rapitori hanno liberato l'imprenditore Marzio Perrini in Lucania: da sei mesi la polizia batteva l'Aspromonte Lo cercavano a 300 chilometri dalla prigione «Ero legato, senza medicine per il cuore malato: ma ho pianto solo per la paura di non rivedere ifigli» I banditi gli hanno tagliato un orecchio per sfida due giorni dopo l'incontro tra Gava e iparenti FASANO (Brindisi) DAL NOSTRO INVIATO Stravolto, la barba lunga, indossò lo stesso pullover di lana dell'inverno scorso, la testa coperta da una benda a nascondere t'orecchio mozzato.' Marzio Perrini, 65 anni, proprietario di un'azienda agricola, l'altra notte è stato il primo fra i sei ostaggi dell'Anònima a tornare libero. Ma già da oggi, diviene la prova di quanto incongrui si stiano rivelando gli spettacolari rastrellamenti che il ministero degli Interni continua a far compiere in Aspromonte. In sei lunghi, durissimi mesi di prigionia, nel santuario della 'ndrangheta l'imprenditore pugliese non ha mai messo piede. Non ci sono certezze, ma elementi precisi sì. Le «prigioni» di Perrini (in sei mesi, ne ha cambiate almeno due) erano si in montagna, ma ih una zona che dalla Locride dista almeno 300 chilometri, forse ai confini fra Calabria e Lucania. Il secondo indizio riguarda la banda: pare che i rapitori di Perrini siano in gran parte pugliesi, anche se collegati alle cosche di Calabria. Allora al sollievo per la liberazione di un ostaggio si affianca un dubbio sempre più forte: ma chi ha detto che Casella, Celadon e gli altri, che le cinque persone ancora nelle mani dei banditi, siano tenute prigioniere proprio fra San Luca e Cimine, fra Locri e le Serre Calabre? Marzio Perrini era molto più vicino alla sua Fasano. L'hanno rilasciato l'altra notte nelle campagne di Metaponto, in Lucania, dopo aver incassato quasi due miliardi di riscatto: lui ha fermato un'auto, si è fatto accompagnare dai carabinieri, e finalmente all'alba è rientrato a casa, piangendo. «E' finita, grazie a Dio...» ha mormorato mentre il figlio e un ufficiale lò sollevavano a braccia dal sedile di un'auto. Adesso, sbarbato, con un pigiama pulito e l'orecchio sinistro coperto da una nuova medicazione, l'imprenditore accetta di scambiare qualche parola coi cronisti. Sono le otto e trenta del mattino, accanto al ietto un ufficiale controlla che a Perrini non sfugga un'informazione di troppo. «Non si preoccupi», lo rassicura lui. Poi qualche battuta sotto « riflettori della tv. «Sono contentò di due cose: che finalmente sia finita questa vicenda piuttosto drammatica, e di aver, riabbracciato i miei familiari, tra i quali le mie bambine più piccole.. Per le quali, devo dire, ho versato diverse lacrime...». Parla proprio così, Perrini. L'avevano portato via la mattina del 28 dicembre, torna a casa in piena estate dopo esser rimasto a lungo incatenato. Per sei mesi solo latte e cibi in scatola, neanche uno dei medicinali di cui avrebbe avuto bisogno per i suoi problemi circolatori. Eppure lui parla di storia «piuttosto drammatica». E' laureato in filosofia, Marzip Perrini, là sua più che dell'imprenditore era una vocazione da intellettuale. «Non mi hanno trattato male, ma non mi tenevano informato su nulla. Non potevo scrivere, non potevo leggere, Per occupare la mente ho provato addirittura a organizzare, a memoria, articoli letterari. Solo una volta, poche settimane fa, mi hanno portato un quotidiano con un commento sulla situazione dei rapiti. Mi è piaciuto. Adesso non andrò in vacanza, tornerò subito al lavoro». Qualcuno vorrebbe sapere di più sui luoghi della prigionia, sui percorsi. Perrini risponde pesando le parole: «Certo non posso essere contento di quel che mi è successo. Per la vicenda in sé, simile a tutte le altre accadute in Italia da oltre 15 anni, e per il modo, che ha assunto toni drammatici...». L'ufficiale interviene, non si può dire di più. Ma su quei «toni drammatici» di cui Marzio Perrini porterà i segni finché vive, su quell'orecchio mozzato e spedito al «Giornale d'Italia», qualcos'altro filtrerà più tardi. Glielo avevano tagliato per sfida, due giorni dopo l'incontro al Viminale fra il ministro degli Interni ed i familiari dei rapiti, fra cui anche quelli dell'imprenditore di Fasano. Una risposta feroce, beffarda ai proclami in tv idei governo. Si diceva dei luoghi in cui Perrini potrebbe essere stato tenuto prigioniero: prima una grotta, umida e grande, poi una tenda «canadese» piazzata in un sottobòsco. C'è un dettaglio che sembra rivelatore: «Le zanzare mi martoriavano», ha raccontato l'imprenditore, «ce n'erano a migliaia». Zanzare in zone di montagna? C'è soltanto un'area, fra Calabria e Basilicata, cui questo elemento sembra attagliarsi: quella delle colline a cavallo fra le piane di Sibari e di Metaponto, antica zona di paludi, bonificata sessantanni fa ma ancora piuttòsto popolata da questo genere d'insetti. Questo spiegherebbe anche come l'ostaggio sia stato rilasciato proprio lì, sulla stalale jonica. Se davvero fosse stato tenuto in Aspromonte, i banditi per arrivare fin lì avrebbero dovuto percorrere più di trecento chilometri. Infine, il riscatto: è stato pagato una settimana fa nel Lazio, dalle parti di Vicovaro. Non nella Locride, come si pronosticava. Giuseppe Zaccaria L'incubo è finito, Marzio Perrini parla con i cronisti. Accanto, il figlio