«Quel delitto non andrà in scena»

«Quel delitto non andrà in scena» Intervista a Anna Maria Moneta Caglio: aprì il caso Montesi, ora blocca la rivisitazione teatrale «Quel delitto non andrà in scena» «Ho pagato caro il coraggio di accusare chi uccise Wilma» ROMA. Senza il suo «j'accuse», il delitto spietato Montesi non sarebbe diventato un caso, uno dei più inquietanti e clamorosi del dopoguerra. Ora, dopo 31 anni di silenzio, Anna Maria Moneta Caglio, il «cigno nero», la «fustigatrice», «la figlia del secolo» si è rifatta viva. Con una raffica di telegrammi, sabato scorso, è riuscita a bloccare la «rivisitazione» teatrale al Festival di Spoleto della famosa arringa pronunciata nel 1957 da Francesco Carnelutti in difesa di Piero Piccioni. Signora Moneta Caglio, per quale motivo ha voluto impedire la rappresentazione di quella arringa? «Per quale motivo? Per difendere il suo assistito, l'avvocato Carnelutti ha tirato fuori fango dalla sua bocca! Una vergogna quella arringa. Nei miei confronti fu di una volgarità unica, unica... Neanche da credere in un uomo di studi come era stato Carnelutti. Il cardinale di Venezia Roncalli, poi diventato Papa, lo so per certo, pianse». Anna Maria queste parole le urla. Con un'emozione e un rancore che sono facilmente percepibili anche al telefono. Per lei sembra che non sia passato un giorno dal 28 maggio 1957, quando il tribunale di Venezia assolse con formula piena Piero Piccioni e Ugo Montagna. Proprio i due uomini che lei, candidamente, aveva accusato di essere due assassini. Fu proprio lei, con una testimonianza a sorpresa, a riaprire il caso di Wilma Montesi, una ragazza trovata morta 1*11 aprile 1953 sulla spiaggia di Tor Vaianica, vicino a Roma. Anna Maria raccontò e scrisse in un famoso memoriale che il sedicente marchese Ugo Montagna, suo ex fidanzato, era un trafficante di stupefacenti, che irretiva le ragazze, le drogava e poi le faceva scomparire. Raccontò e scrisse che il musicista Piero Piccioni, autore di colonne sonore per film, figlio del ministro Piccioni, dopo averla drogata, aveva" portato Wilma Montesi sulla spiaggia di Tor Vaianica e l'aveva affogata. E raccontò di un colloquio notturno tra Montagna, Piccioni e l'ex capo della polizìa Tommaso Pavone, per mettere a tacere la vicenda. Ventitré anni, detta «cigno nero» per i capelli corvini e il lungo collo che spiccava sui pullover neri, tra il 1953 e il 1957 Anna Maria divenne la beniamina d'Italia. La sua requisitoria contro gli aspetti oscuri della Roma-bene la rese popolarissima. Al processo di Venezia l'avvocato Carnelutti, che difendeva Piccioni, fece pesanti illazioni sul comportamento di Anna Maria, accusandola di aver agito come un amante tradita e abbandonata. Oggi, il «cigno nero» ha 58 anni, abita nel centro di Milano, in via Serbelloni, e fa la geometra. Dopo il processo Montesi, per lei sonò arrivati trenta anni duri, di ostilità sorde e palesi. Dopo tanti anni è rimasta dello stesso parere? «Sì. E chiedo che il presidente Andreotti, che sa benissimo come sono andate le cose, dica la verità sul caso Montesi. Qualche anno fa in televisione disse che non era possibile che Wilma Montesi fosse morta per un pediluvio. Se uno dice così, vuol dire che sa. E allora parli. E' una vergogna che invece si continui a gettar fango contro di me, che ho avuto la forza di andare a testimoniare». Alla fine del processo, furono tutti assolti e il tribu¬ nale sentenziò che Wilma Montesi era morta per un Sediluvio. Pensa che allora ì fatto il possibile per accertare la verità? «La ragazza -era stata uccisa. Ditemi voi se hanno cercato il colpevole. No! Hanno nascosto anche il fatto che era stata uccisa, per continuare a dire che era stato un pediluvio...». E dopo il processo cosa ha fatto? La sua è stata una vita difficile? «Difficile? Difficilissima. Mi ricordo che, quando ci fu il processo, mi ero iscritta da poco all'Università e quindi, dato il clamore di quel caso, fui costretta a smettere. Ho ripreso alla conclusione della vicenda giudiziaria: mi ricordo che mia figlia entrava nella scuola elementare, io entravo all'Università. Sono stati anni duri, a volte ho avuto problemi anche per mangiare. Una volta, in piazza del Duomo a Milano, ho incontrato un testimone del processo Montesi. Chiedeva l'elemosina...». E dopo i suoi studi? «Dopo mi sono laureata in Legge e all'inizio degli Anni 70 ho iniziato a fare l'assistente di diritto privato col professor Rescigno, alla Sapienza di Roma. Ma ora faccio la geometra... Ho cercato di fare il notaio. Ma me lo hanno impedito». Perché, scusi? «Ma lei pensa che sarebbe potuta diventare notaio Anna Maria Moneta Caglio?». Fabio Martini Anna Maria Moneta Caglio. Sul caso Montesi raccontò una storia di festini e di droga nella Roma-bene: «E' stato il figlio di un ministro a uccidere Wilma»

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