L'andreottiano «scomunicato» di Fabio Martini

L'andreottiano «scomunicato» L'Osservatore attacca Vittorio Sbardella, capo della de romana: troppo affarismo L'andreottiano «scomunicato» Un dispiacere per Giulio ROMA. Neanche la «scomunica» dell'Osservatore Romano sembra averlo turbato. Vittorio Sbardella fa il duro e la butta in politica: «Le motivazioni di quella nota sono improprie. Agnes dovrebbe andare a cercare gli scandali dove ci sono davvero: alla Rai e in Irpinia...». Per Vittorio Sbardella, potente capo della de romana e numero due della corrente andreottiana, il monito lanciato sei giorni fa da oltre Tevere non è che un'iniziativa personale di Ma.rio Agnes, direttore dell'Osservatore e fratello di Biagio, direttore (demitiano) della Rai. Ma è proprio così? Il quotidiano vaticano può davvero prestarsi a un uso familiare, a messaggi trasversali? Dal Vaticano, negli ultimi 40 anni non erano mai partite parole così taglienti nei confronti di un sindaco democristiano di Roma. Ha scritto mercoledì scorso l'Osservatore Romano: «La preoccupazione maggiore di quanti gestiscono la cosa pubblica a Roma è il controllo dei voti e degli appalti». Parole aspre, ma non del tutto nuove. Il duro attacco al sindaco di Roma e al suo patron, è soltanto l'ultimo di una serie di richiami lanciati verso il gruppo egemone della de romana: l'asse andreottiano Sbardella-GiubiloMovimento popolare. Dice Maria Eletta Martini, una delle «ambasciatrici» della de in Vaticano: «La nota dell'Osservatore arriva dopo altri richiami che, dal mese di febbraio, sono stati mandati dai livelli più alti e autorevoli...». Una storia che è anche una fastidiosa pulce nell'orecchio per Giulio Andreotti: i suoi quasi 50 anni di indiscusso prestigio in Vaticano non sono bastati a evitare il divampare della polemica. Per decenni il Vicariato romano ha sempre riservato grande benevolenza verso tutti i sindaci de della capitale, da Salvatore Rebecchini ad Amerigo Petrucci. Nel febbraio 1985 è proprio il cardinale Ugo Poletti a suonare la carica contro la giunta «rossa», al governo di Roma dal 1976. Passano tre mesi e la de, dopo 9 anni di quaresima, riconquista il Campidoglio. Ma il 7 agosto 1988 Nicola Signorello, andreottiano della vecchia guardia, lascia la poltrona a Pietro Giubilo, andreottiano anche lui, ma del gruppo che fa capo a Vittorio Sbardella. Ex guardaspalle di Arturo Michelini, Sbardella fa ascendere al vertice della de capitolina un gruppo molto affiatato e dalle radici comuni. Giubilo, nei suoi anni «verdi» ha militato nel gruppo di Avanguardia nazionale giovanile, anche il suo addetto stampa Lamberto Biagioni ha avuto simpatie di estrema destra, mentre il segretario amministrativo della de Giorgio Moschetti ha fatto parte della missina «Giovane Italia». Ma il capolavoro politico, quello che lo ha fatto lievitare al vertice del gruppo andreot¬ tiano, Sbardella lo compie grazie all'alleanza con il Movimento popolare, braccio politico di Comunione e liberazione. Una solida intesa che, all'ultimo congresso della de, ha permesso a Sbardella di portare alla lista andreottiana quasi un milione di voti congressuali. Eppure, la buccia di banana arriva proprio dall'alleanza con il vertice romano di Mp. Il suo capo, Marco Bucarelli, il 16 novembre 1988 scrive al cardinal Poletti: «Eccellenza reverendissima, quattro cooperative del Movimento popolare si sono aggiudicate, per aver proposto il prezzo più basso, la .gestione di una parte delle mense delle scuole di Roma... Le cooperative dovrebbero assumere 500 giovani. Le sarei grato se potesse indicarmi nominativi di giovani o donne bisognosi». Il cardinale non risponde. La storia gli dà ragione: il 29 marzo scorso il sostituto procuratore Armati incrimina Giubilo per interesse privato in atti d'ufficio, perché ritiene che il sindaco abbia condotto senza la necessaria equidistanza la trattativa privata per le mense. ' Un mese prima, incontrando la giunta capitolina, il Papa aveva detto tra l'altro: «A Roma ci sono angoli da Terzo Mondo». E il cardinal Poletti in un'intervista su Roma pubblicata dal Nuovo Osservatore usa parole durissime: «La Chiesa diocesana non esiste di fronte alle pubbliche istituzioni, si cammina su strade parallele che non si incontrano. Noi siamo disposti alla collaborazione, ma non troviamo eco». Vittorio Sbardella non sembra preoccupato, neanche di possibili divisioni nella de romana: «Può essere che qualcuno non si? d'accordo. Una minoranza: controlliamo il 90 per cento». Ma Elio Mensurati, leader dei basisti romani, contrattacca: «A Roma il partito è stato dato in appalto a CI, facendo venir meno la possibilità di essere punto di riferimento per il più articolato mondo cattolico. L'Osservatore chiede alla de di vivere la politica non come mero strumento di potere». E qualcuno comincia a sussurrare che la «scomunica» al gruppo sbardelliano potrebbe preludere a un rilancio per la poltrona di sindaco dell'uomo dell'Opus Dei: Alberto Michelini. Fabio Martini Vittorio Sbardella. Si difende: contro di me una vendetta politica