«Bush avaro, dovremo stringere la cinghia»
«Bush avaro, dovremo stringere la cinghia» Uomini della Nomenklatura e deputati dopo il discorso del presidente Usa: prevale la delusione «Bush avaro, dovremo stringere la cinghia» //premier Rakowski: ci sono limiti invalicabili all'assistenza gratuita Un segretario delpc: per quanti soldi ci diano, non basteranno mai VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO «Una dura lezione di vita per i polacchi che ora dovranno sopportare altri sacrifici», commenta seccamente il dirigente del partito comunista. «La schiarita economica diventa un traguardo mitico, per quanti soldi ci diano temo non basteranno mai». Incalza il parlamentare dell'opposizione walesiana: «Per me va bene, adesso sappiamo di poter contare sull'appoggio dell'Occidente, sarebbe sciocco pretendere di più». Nelle battute raccolte a caldo nell'emiciclo dell'assemblea nazionale, mentre si sta spegnendo l'eco degli applausi al termine del discorso di George Bush, emergono delusione ed ottimismo, più marcata la prima tra i deputati e senatori governativi, più cauto il secondo negli ambienti di Solidarnosc. E svanisce di botto il sogno impossibile delle montagne di dollari attese da oltreatlantico, perlomeno viene rimandato alle decisioni che scaturiranno dalla prossima riunione parigina dei Sette grandi. Le parole del Presidente americano scandite nell'aula del Sejm sono state per tutti, chi più chi meno, una doccia fredda imprevista. «Un intervento ottimo, nobile», taglia corto il premier dimissionario Mieczyslaw Rakowski infilandosi nella macchi- na di servizio. Gli chiediamo: «Ma lei è sempre stato molto critico nei confronti dell'avarizia americana ed europea verso la Polonia...». Risposta: «Certo, e resto della mia opinione, però capisco anche come certi limiti all'assistenza gratuita siano invalicabili, ognuno deve pensare a se stesso». Di parere nettamente opposto è invece l'ex presidente del Sejm, Roman Malinowski, uno dei grandi bocciati della nomenklatura comunista alle elezioni politiche di giugno. «Sono piuttosto deluso, mi attendevo maggiore concretezza, la carne al fuoco mi sembra poca». Avviciniamo Zbygniew Messner, un fido del generale Jaruzelski per molti anni primo ministro. «La mia opinione è semplice, chi si aspettava troppo finisce per restare male, giudica sempre modesto il giocattolo che gli viene regalato». Sentiamo Josef Czyrek, segretario del Comitato centrale del Poup. «Le elemosine non sono mai sufficienti, per quanti soldi ci diano non basteranno mai a soddisfare le esigenze primarie di un Paese che purtroppo ha bisogno di tutto». Per Alexander Kwasniewski, giovane ministro per lo Sport e l'astro nascente nell'ala riformista del Politbjuro, il progetto Bush «non è un nuovo Piano Marshall, soltanto il passo positivo nella giusta direzione di cui bisognerà verificare gli sviluppi e la portata». Il regime, che puntava su una boccata di ossigeno più consistente, più immediata nel pacchetto dei provvedimenti finanziari del Presidente americano, vede ora allungarsi i tempi della ripresa, teme le incognite del rinvio al vertice delle sette nazioni industrializzate, ha paura che la fragile coesione occidentale possa riservare brutte sorprese. «Proprio così», sostiene ad esempio Bogdan Lis, esponente dell'ala dura di Solidarnosc e neodeputato. «La riunione di Parigi del 15 luglio sarà cruciale, da essa scaturirà l'auspicata conferma delle buone intenzioni. Qualsiasi entusiasmo appare quindi prematuro, non è sufficiente che il presidente Bush s'impegni ad essere l'avvocato della nostra causa». Il portavoce del sindacato indipendente Janusz Onyszkiewicz ha espresso dal canto suo la piena soddisfazione di Solidarnosc sulla consistenza dell'appoggio di credibilità delineata in Parlamento dal responsabile della Casa Bianca. «Ci conforta sapere, nero su bianco, che possiamo finalmente fare affidamento sui nostri amici occidentali. Non ci hanno abbandonato nella fase più critica della rappacificazione nazionale». Ma il portavoce di Jaruzelski, Wielslaw Gornicki, ha ammesso apertamente «la discrepanza fra aspettative e realtà». Piero de Garzarolli
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