L'ISOLA D'ORO

L'ISOLA D'ORO L'ISOLA D'ORO Esposti a Trapani i tesori siciliani Negli stili la storia delle vicende umane FTRAPANI INO al 30 ottobre , nel Museo Pepoli, la mostra «Ori e argenti di Sicilia». Utilizzando, intelligentemente, l'allestimento della esposizione di quattro anni fa, dedicata all'arte del corallo, circa 500 pezzi che esemplificano la stona delle oreficerie siciliane, dal XVI al XVIII secolo. Provengono da prestigiosi musei e collezioni italiane e straniere e da «tesori» di chiese e conventi. E, ancora una volta, ribadiscono l'importanza delle cosiddette «arti minori». Una pigra definizione dura a morire, malgrado gli studi via via crescenti in questo campo, pure in Italia. Per quanto riguarda la Sicilia, abbiamo addirittura una pioniera. Vale a dire Maria Accascina che, fin dal 1937, con la prima mostra di «arti minori» nell'isola, cercò di integrare, con pari dignità, tali manufatti alla storia dell'arte. Proseguendo poi, con indomita passione fino alla morte, ricerche ed analisi. Un'eredità raccolta, fra gli altri, da Maria Concetta Di Natale, curatrice dell'attuale rassegna: è docente dell'Università di Palermo che, insieme all'Assessorato Regionale ai Beni Culturali e alla Conferenza Episcopale Siciliana, l'ha-organizzata. Come lei stessa ha scritto nel catalogo, edito dalla Electa, «una mostra che non si pone come approdo... ma come stimolo catalizzatore che possa generare ulteriori indagini e futuri approfondimenti». Quanto mai necessari per la salvaguardia di un inestimabile patrimonio di cui l'isola è ricca e sollecitare rimedi per evitare «malaugurate dispersioni per furti e insana cupidigia» oppure «squallido degrado, spesso frutto dell'ignoranza». Insomma un'iniziativa assai rilevante, tanto più che, come scrisse Calvesi, in Sicilia le «arti minori» hanno avuto un ruolo protagonista. Specchio fedele di disparate realtà storico-artistiche e di una vicenda che, dai bizantini, arabi e normanni, si snoda attraverso i secoli, sempre ad alti livelli qualitativi. In particolare, dopo quello «statuto» degli orefici e argentieri, approvato nel '400 da Alfonso d'Aragona. Dal quale, in pratica ha inizio la rassegna, a parte lo scenografico cavallo e relativi, preziosi finimenti del viceré Marcantonio Colonna, vincitore di Lepanto, che accoglie il visitatore, dopo lo scalone d'ingresso. Per 1 esattezza si tratta di un reliquiario del 1405, in cui si avvertono echi del tardo-gotico toscano. A testimonianza d'intensi scambi e di una koiné mediterranea, su cui poi irrom¬ perà l'egemonia spagnola. Un problema, quest'ultimo, sul quale mostra e catalogo cercano di far luce, e sottolineano come, pur risentendo dei modelli, specie catalani, soprattutto a partire dal '500, non venga meno una specificità siciliana. Caratterizzata da una maggiore esuberanza ornamentale e cromatica. Un fasto legato alla «sicilianità» e che corrispondeva alle esigenze dei committenti. Per esempio, grande uso di pietre preziose, le cui valenze magicosimboliche perpetuano quella continuità tra mondo pagano e cristiano, radicato nella cultura isolana. E, al tempo stesso, «status symbol» sia della vecchia aristocrazia, che della nuova nobiltà e della rampante borghesia mercantile. Purtroppo, per le dispersioni subite, di tali «gioie» laiche restano scarse tracce, per lo più megli archivi notarili, peraltro spulciati da cima a fondo, per questa occasione, dai collaboratori della Di Natale. E nella mostra predominano oggetti sacri, che però, con il loro fulgore, rendono egualmente evidente lo stile di vita, il lusso che caratterizzò quei secoli. Contro i quali si combattè, invano, con richiami etici e leggi suntuarie. Aspetti che vanno anch'essi tenuti presenti, in quanto ogni opera è storia e quindi in rapporto ad essa va ricostruita e compresa. Cercando, com'è avvenuta in questa circostanza e documentato egregiamente in catalogo, di allargare l'indagine dai caratteri stilistici alle vicende umane connesse. Valgano le nuove attribuzioni, l'individuazione di pittori e scultori famosi che collaborarono con disegni e modelli ma anche la storia di molti artisti e botteghe che, dopo secoli di dimenticsnza, escono dall'anonimato. { Ad esempio, l'ipotesi che un ostensorio di Modica sia di Filippo Juvara. Oppure le vicende della corporazione che riguardano questioni professionali ma pure economiche e rdigiose. Come dimostra la costituzione della dote per «ina orfana povira, virgugnusa et virtuosa», scelta dal console. Che doveva garantire il Paratìso ai membri della confratenita, ma anche proteggerli da intrusioni di estranei. Un'accarita difesa dei propri privilegi che avrà termine soltanto agli irmi dell'800, quando la «maestranza degli argentieri e degli orafi», troppo potente e temuta dal governo, venne abolita. E' anche l'epilogo della mostra. La quale, come ho detto, « esemplare. E fa nascere la speranza che, almeno per quanto riguarda le «arti minori», la Sicilia diventi, come recita un antico distico, «un'isola perfettissima», [f. v.] Una mazza d'argento del 1600. Al museo Pepoli di Trapani oltre mille «pezzi» rispecchiano le tradizioni siciliane

Persone citate: Alfonso D'aragona, Calvesi, Di Natale, Filippo Juvara, Lepanto, Marcantonio Colonna, Maria Accascina, Maria Concetta

Luoghi citati: Italia, Palermo, Sicilia, Trapani