BOWLES, UNA MALEDETTA CHE SCRISSE POCO

BOWLES, UNA MALEDETTA CHE SCRISSE POCO BOWLES, UNA MALEDETTA CHE SCRISSE POCO LA vita sembra come uno sparo di pistola» scriveva Jane a 20 anni a un'amica. E a 24 dava alle stampe «Due signore per bene», il suo unico romanzo che oggi la Bollati Boringhieri pubblica nella traduzione accurata di Paola Mazzarella A 30 la sua carriera di scrittrice era finita: dissipata nell'inquietudine, nell'alcol, nelle droghe, nei viaggi che cttiava, nella vita sessuale errala, su cui la malattia e il disorcine mentale avrebbero prospetto rigogliosi. I E' la prima volta che si traduce in Italia un libro di Jane Sowles; un'autrice più nota per |a sua vita intensa e tragica che fer la qualità del suo lavoro, ènnessee Williams, che l'amaya moltissimo, la indicava come «la scrittrice più sottovalutata d'America». Paul Bowles la sposò, e sulle ceneri della vocazione letteraria della moglie fondò la propria determinazione a diventare scrittore. Dopo l'emorragia cerebrale che la colpì a 40 anni nel '56, Jane Bowles rimase testimone passiva dei successi di romanziere del marito, un libro dopo l'altro, una crisi depressiva dopo l'altra, fino all'umiliazione finale, il ricovero in una clinica psichiatrica a Malaga. Tutto questo ha molto che vedere con «Due signore per bene», un romanzo di disperazione gentile scritto con la penna inv tinta nel mercurio e che all'epoca della pubblicazione quasi tutti i critici giudicarono «incomprensibile». La voce di Jane Bowles, stralunata e metallica, dispensa compassione fredda e arguzia mordace per le sue protagoniste Mrs. Goring e Mrs. Copperfield, due giovani donne che dissipano privilegi e senno per inseguire una libertà che le corrompe e le corrode. La prima si spoglia di ogni bene e si dà ad amori facili e umilianti con uomini di quart'ordine; la seconda lascia il marito per una prostituta incontrata in un bordello a Panama, che porta con sé in America. Ed è una beffa che le femministe americane ci abbiano visto una celebrazione della libertà femminile. Jane Auer non era femminista, era lesbica. Benestante, ebrea, graziosa, zoppa alla gamba sinistra per una tubercolosi ossea, e con una bella testa di dalia su un corpo minuto. Nel 1938 fece scalpore sposando Paul Bowles, un compositore omossessuale che allora aveva 26 anni, a cui rimase legata tutta la vita in un rapporto di reciproca fascinazione e di sorprendente lealtà, sopravvissuta anche all'accordo di vite sessualmente separate, dopo una fiammata di amore coniugale quanto mai breve. «Gli uomini mostrano tutto in superficie, non sono interessanti. Non hanno mistero. Le donne sono profonde e misteriose - e oscene» diceva Jane al marito, che lo riferisce ossequiosamente nella biografia dedicatale dall'americana Millicent Dillon, uscita nel 1982 col titolo «A little originai sin». Subito dopo le nozze, i Bowles vissero per un anno a New York, nella famosa casa di Brooklyn Heights che ospitava altri letterati come W. H. Auden, Benjamina Britten e Carson McCullers. Poi nel '43 Knopf pubblicò il romanzo che Jane aveva scritto all'estero, seduta in tanti caffè, mentre seguiva il marito nei suoi viaggi senza sosta. Gli Anni 40 furono invece anni di lunghe separazioni, Paul in Africa sulla romantica scia di André Gide, Jane in una casa del Greenwich Village, innamorata di una donna più vecchia di lei di nome Helvetia Perkins. Seri¬ veva tutto quello che le restava da scrivere — una commedia, «In the summer House», e sei racconti—beveva, intratteneva è infervorava nel culto della sua persona una corte di artisti, di ricchi e di gente annoiata che si lasciava affascinare dalla sua determinazione a bruciare la candela da entrambe le estremità. Civetta, viziata, allegra e rabbiosa, audace e impaurita di tutto («E' mio nemico» disse del marito, la prima volta che lo vide): in piena simmetria con le protagoniste del suo romazo, Jane Bowles alimentava la sua disperazione più con le libere scelte che con la sventura della sua fragiltà fisica e psichica. Odiava viaggiare e ha viaggiato dapertutto: Messico, Francia, Ceylon, Nord Africa. In nessun posto trovava pace, e meno che mai a Tangeri, dove si è stabilita con marito dal '48 in avanti. «La natura la inorridiva» ha confidato Paul Bowles alla sua biografa. «Il mare o i temporali la facevano rabbrividire. Diceva sì, sì, è bello, ma è terribile. Non voglio guardare, grazie. Torniamo in casa. E' quasi l'ora del cocktail». E se non bastasse trovava la voglia di scrivere «nauseante». «Scrivere» annota Truman Capote nell'introduzione alle opera complete di Jane Bowles uscita nel '66 «non è mai facile: in caso nessuno lo sapesse è il lavoro più duro che ci sia. E per Jane credo sia un vero tormento». Nell'aprile del '67, dopo ripetute crisi depressive, Paul Bowles accettò il consiglio di un medico e la fece ricoverare in un ospedale psichiatrico a Malaga, dove la curarono con l'elettroshock. La riportò a Tangeri molti mesi più tardi, ma lei continuò ad avere ricadute. In uno stato di melanconia catatonica, fu ricoverata nuovamente a Malaga nel '69, dove la colpì una seconda emorragia cerebrale mentre ballava con gli altri ricoverati. L'anno successivo si convertì al cattolicesimo. Morì il 3 maggio 1973 a 56 anni. A Tangeri, dove malgrado la malattia era un'ape regina che attivava sciami di intellettuali e di mondani, Jane Bowles aveva speso gli ultimi anni in una minuscola casa nella casbah con un'amante araba, una certa Cherifa, «una vecchia contadina rozza» secondo Truman Capote, che si diceva praticasse la magia nera e volesse ucciderla. «Io amo davvero Cherifa» confidò Jane Bowles con una risatina angelica all'amico preoccupato. «Ma Cherifa non mi ama. Come potrebbe? Una scrittrice? Una ragazza ebrea contorta? Tutto quello a cui pensa sono i soldi... e prova ad avvelenarmi almeno una volta ogni sei mesi...». Livia Matterà