E' LETTERATURA O IDEOLOGIA SE IL MATERIALE DIVENTA IMMAGINARIO?

E' LETTERATURA O IDEOLOGIA SE IL MATERIALE DIVENTA IMMAGINARIO? E' LETTERATURA O IDEOLOGIA SE IL MATERIALE DIVENTA IMMAGINARIO? "r^lARO direttore, non ci I ' piacciono le polemiche I dirette fra autori di libri 1 i e recensori. Ci sono, tut\A Itavi a, in particolare nell'articolo di Bàrberi Squarotti sulla nostra antologia «Il materiale e l'immaginario» (in «Tuttolibri» di sabato scorso), ma in parte anche in quello di Guido Almansi (su «la Repubblica»), affermazioni sulle quali desideriamo intervenire. Primo punto. Ci viene rimproverato di avere abbassato il ruolo e il valore della letteratura. Sarebbe facile dimostrare che nel libro, in realtà, di testi letterari (poesie, racconti, pagine autobiografiche, schede su romanzi e su testi quasi sempre di alta qualità, scelti comunque per la loro esemplarità tematica o di linguaggi i) ce ne sono moltissimi. Sarebbe facile, anche, stendere l'elenco delle presenze, e ricordare, per esempio, il ruolo di protagonista che nel volume ricopre il letterato Calvino. Certo, accanto ai testi letterari ci sono testi che appartengono ad altre forme espressive, oppure che documentano il contesto culturale degli ultimi tre decenni, il dibattito sulla fine della storia, quello sulla nuova scienza, sulla complessità, sull'ermeneutica, ecc. Evidentemente c'è chi pensa che quello della letteratura sia un universo separato, che gode di un suo «primato» su tutte le altre manifestazioni umane, e c'è chi, come noi, pensa (con un atteggiamento che riteniamo non sia storicistico ma rispettoso dello spessore denso e concreto di ogni storicità) che le opere letterarie, pur possedendo un loro specifico, vivono in un rapporto profondo (antropologico, quindi, e non sociologico) con i contesti sociali e culturali in cui sono nate. Ma c'è di più. La letterarietà, ci sembra, si è espressa nel nostro tempo non tanto come discorso arroccato sulla difensiva, quanto come manifestazione diffusa e pervasiva, momento significativo di una «resistenza» (a smentita di tenti facili catastrofismi alla McLuhan). Molti dei testi da noi proposti documentano un forte interscambio fra momenti di conoscenza scientifica, o filosofica, e momenti di rappresentazione lirica, un forte interscambio di discorsi e linguaggi (cinema e letteratura, arti figurative e letteratura). Secondo punto. Ci viene rimproverato, da chi ingenuamente ritiene di essere immune da pregiudizi ideologici, che il nostro libro, pur affidandosi ai testi, pur mettendo sempre a confronto, su ogni argomento, due o più testi di diverso orientamento, possie¬ de in realtà una sua dominante ideologica (che sarebbe quella di uno storicismo progressista e di un marxismo trionfante). Bàrberi Squarotti cita Camus per ribadire che non bisogna mai essere schierati fra i carnefici, e invece esserlo con le vittime e i vinti. Su questo punto, almeno, siamo d'accordo con lui. Forse basterebbe, anche a questo proposito, per difenderci da ogni sospetto, un elenco di nomi. Vorrà pur dire qualcosa, pensiamo, se il libro si apre con Don Milani. La realtà è che Bàrberi Squarotti ha ancora tanta fiducia nella presenza davanti a sé del suo nemico principale — e cioè le certezze della storia — che riesce a scovarlo dappertutto, anche là dove ha lasciato solo le tracce della propria crisi. Questo non vuol dire che il mondo delle battaglie ideologiche sia assente dal nostro libro. Dovendo fare la storia, sia pur provvisoriamente, di un periodo che comprende la grossa svolta epocale e i grandi movimenti e fermenti degli Anni Sessanta e Settanta, sarebbe stato ben grave se ne avessimo tenuti nascosti gli aspetti più clamorosi, talora tragici. Mossi — loro sì — da forti pregiudizi ideologici, i nostri critici avrebbero preteso da noi una «riscrittura» della storia, una cancellazione, nel bene e nel male, di alcuni momenti di più drammatica vitalità, di più forte tensione esistenziale e conoscitiva e anche di più creativo rinnovamento nella teoria e nella pratica letteraria, che alla nostra generazione sia capitato di vivere. Remo Ceserani Lidia De Federicis P ER scrupolo, mi sono riguardato il volume de II materiale e l'immaginario dedicato agli ultimi venticinque anni, e continuo a trovare quantitativamente esigua la parte della letteratura: ciò che può essere anche accettabilissimo, ma non in un'antologia che, con il suo titolo, fa almeno pensare a un qualche equilibrio fra le due componenti. Mi rallegro che anche gli autori siano d'accordo sulla sentenza di Camus sulle vittime e sui carnefici, ma ho cercato invano nelle innumerevoli pagine del libro la presenza delle vittime proprio di quegli anni e di quelle vicende che con un ottimismo di magnifiche sorti vengono celebrate come «grossa svolta epocale» (ahi, che linguaggio da mass-media un poco corrivi!) e come frutto di «grandi movimenti e fermenti». Ci sono storici, sociologi, politici, una caterva di pagine per lo più grigie e oscure, ma non ho mai trovato una presa di distanza, un giudizio che non fosse di piena accettazione (sì, storicistica nel senso più greve) di tutto ciò che è accaduto. Io credo che la storia, invece, si faccia sempre in compagnia con la morale: altrimenti non è che controfirma sotto l'accaduto. Non sto a dire che non sono affatto un sostenitore della letteratura come «universo separato»: ma mi premo precisare che il mio nemico non sono le certezze della sluna, ma chi se ne serve per seminare di morti questi nostri anni (come il nostro passato): non gli autori in questione, certo. Ma il loro libro, magari facendo loro torto, non dimostra nessun distacco da tale uso della storia. Giorgio Barberi Squarotti