LA CARICA DEL '600 di Francesco Vincitorio

LA CARICA DEL '600 LA CARICA DEL '600 Un secolo glorioso di pittura umbra a Spoleto E a Padova un itinerario da Giotto al tardo-gotico A4Padova e a Spoleto, quasi contemporaneamente, due mostre assai differenti eppure legate da un fUo rosso. Nella «città del Santo», circa 110 tavole ed affreschi, con il titolo «Da Giotto al tardo-gotivo». Nell'Atene dell'Umbria, ^Odipinti che esemplificano la pittura del Seicento in quella regione. La prima prefigura il percorso iniziale della futura Pinacoteca Civica. L'altra, rende conto di una scrupolosa ricerca «sul campo». Da angolazioni diverse, entrambe mirano alla rivalutazione del nostro patrimonio artistico. La mostra padovana si è aperta due giorni fa nel Museo agli Eremitani e durerà fino a dicembre. Coincide con il trasferimento nella nuova sede museale di una parte delle raccolte comunali, dal vecchio edificio di piazza del Santo. Tra alcuni mesi cederà il posto all'esposizione «Dal Bellini al Tintoretto», che comprenderà le opere di un ulteriore trasferimento. L'intera operazione rientra in un programma di riordino e catalogazione, in corso da parte di Davide Banzato, Franca Pellegrini e altri studiosi. E' prevista la pubblicazione di cataloghi completi che, insieme alle mostre, sono il modo migliore per conoscere questi tesori, spesso ignoti. Che si tratti di tesori, basta osservare il primo dipinto. E' il «Crocifisso» di Giotto per la Cappella degli Scrovegni. Un capolavoro che è uno spartiacque. L'umanizzazione del Cristo indica, infatti, una nuova via. Percorsa, ben presto, anche da altri artisti. Lo testimonia egregiamente la serie di affreschi qui presenti, staccati a suo tempo dal convento degli Eremitani. Furono eseguiti nel 1324 da Pietro e Giuliano da Rimini, tra i primi a seguire la lezione giottesca. Però non in modo pedissequo. Anzi, fu l'inizio di una lunga, complessa dialettica. Come dimostra un altro artista, presente nelle sale: cioè quel Guariento, figura principale della pittura padovana del Trecento, autore delle tavole superstiti della cappella nella Reggia dei Carraresi. Dipinte a metà del secolo e raffiguranti schiere angeliche, confermano che il pittore, pur accogliendo le novità di Giotto recupera, come scrisse Pallucchini, «una sensibilità irreale e trasognata». Caratteri, come si sa, distintivi del gotico «cortese». Tendenza che dominerà il campo, via via con commistioni varie, fino al Quattrocento. Esempi di tale sviluppo, oltre all'arazzo con scene cavalleresche delle manifatture di Arras, lavori dei veneziani Jacobello del Fiore, Francesco de' Franceschi e Giambone Questi stretti rapporti con Venezia sono uno dei temi ricorrenti, ribaditi dalle numerose Madonne e icone, anche di pittori cretesi-veneziani, molto richieste per la devozione privata. Tuttavia, è una riaffermazione di «padovanità» che chiude la mostra. Si tratta del Polittico de Lazara dello Squarcione. Sarto, nonché pittore e imprenditore, per il quale lavorarono pure Pizzolo e Man tegna. Un'opera che ha fatto molto discutere. Contiene, infatti, parecchi arcaismi ma, come disse il Lanzi, «ha colorito, espressione e soprattutto prospettiva». Insomma la conclusione della vicenda tardo-gotica e il preannuncio del Rinascimento. Appunto quel tema che, come ho detto, sarà oggetto di una prossima mostra. Tutt'altro taglio, l'esposizione «Pittura del Seicento in Umbria», che s'inaugura oggi a Spoleto, dove resterà aperta fino al 23 settembre. Frutto di una ricerca sistematica durata 20 anni e, per ora, limitata al territorio umbro alla sinistra del Tevere, ossia zone di Perugia e Orvieto escluse. Pazienti pellegrinaggi per strade e sentieri spesso disagevoli, per trovare testimonianze a volte sconosciute o mal studiate. Palazzi, chiese, conventi, cappelle, romitori, dragati da cima a fondo, il tutto documentato in due volumi pubblicati alcuni anni fa dalla casa editrice Canova. Un'indagine che ha portato all'individuazione di 2000 dipinti. Nella mostra ce ne sono 120, significativi e restaurati, illustrati da un catalogo Electa. Il Festival dei due Mondi, nel cui ambito si svolge, fa da cassa di risonanza; la Provincia di Perugia è promotrice dell'iniziativa, con l'aiuto di altri enti. E' ospitata nella chiesa di S. Nicolò e nella Rocca Albornoziana, che provvidi restauri stanno traformando in edificio museale ed espositivo. Per maggior chiarezza è stata suddivisa in 6 parti: dal cantiere controriformistico di S. Maria degli Angeli di Assisi alla «succursale» presso l'Abbazia di S. Eutizio del circolo romano dei Crescenzi, di cui era esponente principale Pomarancio, alla «isola fiorentina», sorta per la pendolarità degli abitanti, nell'appartata Valle Oblita. Come si noterà, più che sulla cronologia si è puntato su alcune situazioni. Minori solo in apparenza perché, ad uno studio accurato come quello compiuto in questa occasione, hanno rivelato un interesse inatteso. A parte l'alta qualità di diversi dipinti (ce ne sono di Annibale Carraci, Cavalier d'Alpino, Ba- ?;lione, Lanfranco, Furini, Saimbeni, Maratta e altri) ciò che colpisce è la vitalità culturale. Senza contare le sorprese, come quella del dipinto murale di Serodine, dei francesi Lhomme e Quillerier, finora noti in Italia solo come nomi e quello del «maestro» chiamato di Serrane, dal minuscolo paese dove l'opera è stata scovata: un misterioso pittore forse franco-fiammingo, qualcuno ipotizza la Tour giovane. In sostanza, un'operazione esemplare, che non intendeva scoprire una scuola umbra secentesca, bensì mettere in luce il fitto intreccio di relazioni che, in quel periodo, si era stabilito fra le «capitali dell'arte» e i centri dell'Umbria. Dando così luogo ad una cultura diffusa, spesso di notevole valore. Un patrimonio «a rischio» di cui si vuol accrescere la consapevolezza e cure costanti. Una battaglia che Bruno Toscano e i suoi collaboratori stanno conducendo da anni. Augurandosi che questa mostra non costituisca un successo effimero. Infatti il pericolo è costituito dalla nostra cronica mancanza di programmazione e sistematicità d'intervento. Soprattutto come manutenzione continua, da affidare a mani esperte. Solo in tal modo la ricerca fin qui compiuta e relativa esposizione di una preziosa campionatura saranno-realmente utili. Francesco Vincitorio dolio: «il Giudizio Universale» (pari.)