L'amara svolta del'56

L'amara svolta del '56 Comunista scomodo: la figlia Laurana ricorda.. L'amara svolta del '56 Due episodi decisivi: un viaggio in Cina da cui riporta grande ammirazione per Mao e la repressione della rivolta ungherese TRA i tanti avvenimenti, uomini politici, situazioni che hanno caratterizzato il rapporto tra mio padre e il partito comunista, credo che tre siano i passaggi essenziali: l'incontro con il partito nel 1944 tra gli spari della Resistenza sulle colline del suo paese natale; il 1956, anno di due avvenimenti per lui importantissimi di segno opposto: l'incontro con Mao Tse Tung al congresso del partito cinese e la rivolta ungherese; e, infine, il 1975, anno di pubblicazione di un volume su Botteghe Oscure e del Memoriale di Smirkovsky sul settimanale Giorni-Vie Nuove da lui diretto, sulla repressione sovietica della primavera di Praga e la sua esclusione dal Comitato centrale del pei. La Resistenza, dopo il suo passato di giovane fascista imbevuto dalla falsa retorica del regime, è stata la conquista interiore di una nuova dignità umana e politica, insieme con la conquista collettiva della libertà e l'incontro con i comunisti, quelli dalla biografia esemplare antifascista, che divennero i suoi amici e i suoi maestri di politica. L'Ulisse partigiano (quello era il suo nome di battaglia) diventa subito dopo la Liberazione l'Ulisse dei corsivi su l'Unità, il giornalista-militante politico, forte polemista, aggressivo e ricco di passionalità. In un partito fortemente gerarchico e disciplinato vive a volte con intemperanze e insofferenze la sua tendenza a «disobbedire», a decidere di testa propria la direzione del giornale, ma alla fine fa prevalere il senso di responsabilità verso il partito. I dieci anni della direzione de l'Unità (1948-58) sono i migliori della sua vita, quelli vissuti intensamente fino all'ultimo respiro, in comunione di sentimenti e di azione con il popolo comunista (tra cui era molto popolare) e gli uomini più significativi della Milano degli Anni Cinquanta. Amava la gente semplice, come la sua famiglia contadina, e aveva bisogno di misurare la grande politica con gli interessi quotidiani degli operai e dei braccianti. E questo è sempre stato il suo metro di giudizio per valutare l'efficacia e la giustezza della linea politica e le caratteristiche dei diligenti. A Berlinguer, per esempio, ha più volte rimproverato, anche in sedi pubbliche, di parlare poco con la gente, anche se gli riconosceva qualità di pensatore politico. Il'56 è un anno straordinario nella vita di mio padre: nel settembre incontra Mao a Pechino e gli fa una lunga intervista sulla «politica dei cento fiori» (che pubblicherà integralmente solo alcuni anni più tardi), in cui si fa riferimento ai problemi del burocratismo e dello stalinismo. Riporta dal viaggio in Cina grandissime emozioni e la grande ammirazione per Mao, leader di una rivoluzione contadina e anche poeta. E quella esperienza gli consentirà di dare interessanti giudizi sul significato della rivoluzione culturale e sulle lotte interne al partito cinese. Ma la repressione armata della rivolta ungherese nell'ottobre del 1956 è una traumatica rottura dell'incantesimo cinese. Lajolo vive un momento tremendo della sua vita, travagliato dai dubbi: dissente apertamente, eppure deve affermare la linea del partito sulle pagine de l'Unità. Ma proprio da quei giorni angosciosi trae origine la sua revisione critica sui Paesi socialisti, che manifesterà soprattutto dopo la primavera di Praga. Sono le caratteristiche umane e le curiosità culturali, più che le abilità politiche, a fargli scegliere i suoi amici, come Giorgio Amendola, il dirigente comunista a cui fu più legato dagli Anni Sesanta in poi, sostenendo senza mezze misure o tatticismi diplomatici la proposta del partito unico dei lavoratori e dell'unità dei partiti di sinistra, proposta non risultata vincente all'interno del partito. E' un uomo di prima linea, non da lente partite a scacchi, con grande coraggio nel sostenere le proprie convinzioni e questo ha comportato che a volte si scaricassero su di lui critiche e accuse della sinistra del partito, che gli procuravano insieme rabbia e amarezza, senza comunque cercare coperture alle proprie azioni. L'uscita dei suoi libri sul partito (Finestre aperte a Botteghe Oscure e I Rossi tra il '75 e il '76) sono oggetto di polemiche dentro e fuori al partito. Rileggendo oggi quei libri e le interviste che ne seguirono o lo stes¬ so Memoriale di Smirkovsky nell'attuale celebrazione del ventennale della primavera di Praga (pubblicato su Giorni-Vie Nuove), forse non si riesce più a capire fino in fondo il senno dello «scandalo», tanto sono mutate le valutazioni del pei sul socialismo reale, proprio nella direzione passionalmente auspicata da mio padre. Eppure nel '75 quelle pubblicazioni gli costarono l'esclusione dal Comitato centrale e accuse violente. Fu definito un comunista scomodo, certamente lo fu, perché ha sempre rivendicato un ruolo di critica e di libertà di discussione, ma in nessun momento ha pensato che il suo posto fosse al di fuori del suo partito. L'ultima frase che mi ha detto poco prima di morire: «Ricordati Laurana, non è la politica pragmatica a fare la rivoluzione, ma sono gli uomini e la poesia che cambiano il mondo», mi pare una sintesi esemplare della sua concezione della politica, del suo modo di essere e di agire. Laurana Lajolo Un caratteristico atteggiamento di Davide Lajolo, fotografato nella sua casa sulle colline del Monferrato. Fu capo partigiano, leader comunista, giornalista, scrittore e poetz

Luoghi citati: Cina, Milano, Pechino, Praga