Arturo Martini, la lotta con la statua

Arturo Martini, la lotta con la statua Cent'anni fa nasceva l'artista di Treviso: da venerdì Aosta gli dedica una retrospettiva Arturo Martini, la lotta con la statua Bronzi, gessi, terrecotte: grande avventura d'arte del V00 —jTl AOSTA. " incanto della forma, l'itinerario poetico, il mito i della scultura di Arturo LI Martini trovano nella rotrospettiva, che si inaugurerà il 7 luglio al Centro Saint-Benin (via Festaz 27), una nuova e suggestiva testimonianza, un punto di riferimento per ritrovare il fascino dei bronzi, dei gessi, delle terrecotte. Realizzata dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta con la collaborazione dell'Associazione Amici di Arturo Martini, quest'esposizione si avvale di un comitato scientifico composto da Jean Clair, Christos Joachimides, Norman Rosenthal, Mario De Micheli, Claudia Gian Ferrari e Flavio Fergonzi, che hanno tracciato le linee essenziali di «una delle più significative avventure del secolo». Avventura che si dispiega lungo l'arco di una ricerca contrassegnata dall'intensa energia del materiale impiegato, da una visione che va da Valori Plastici al Novecento alle opere monumentali. Nel centenario della nascita, avvenuta nel 1889 a Treviso, l'indagine proposta per questa antologica privilegia l'aspetto più lirico dell'esperienza di Martini tralasciando, volutamente, il primo periodo della sua formazione e gli anni veneziani, che costituiranno, rispettivamente, il nucleo delle rassegne che Verranno allestite nella città natale e a Venezia, dove insegnò all'Accademia dal 1942 sino alla fine della seconda guerra mondiale. Attraverso sessanta pezzi si definisce il corpus di un percorso comprendente Donna al sole del 1932/33, dalla plastica definizione dei volumi che sottolineano la bellezza formale e l'atteggiamento della figura femminile, mentre nel bronzo II leone di Giuda, del 1936, l'imponente impostazione dell'immagine evocata si ricollega alla grande tradizione dell'arte di ogni tempo: «Nel panorama impoverito della scultura italiana — suggerisce, nel catalogo della Electa, De Micheli — Martini, al suo apparire, ha profuso di colpo fantasia, liberta, rischio e novità esecutiva». L'artista ha immesso nei suoi volti, nei corpi, nello slancio espressivo, il senso di un'interpretazione che lega indissolubilmente il mistero degli etruschi e le forme egizie, romaniche, il Quattrocento, in una sequenza di altissimo prestigio e qualità. E dalla fusione della materia con l'idea generante, dalla definizione della statua con lo spazio atmosferico, emerge l'essenza della visione di Martini che ha affermato: «Quando fai una statua, essa comincia subito ad apparire e siccome ogni cosa che nasce cerca di nascondersi per non essere scoperta — te lo spiegherò anche con la natura — la statua comincia a dominarti, vorrebbe turbarti. E allora inizio la lotta e la finzione di non darle importanza e fingere di non vederla». Improvvisamente, così, la materia prende consistenza e concretezza, le superfici sembrano percorse da un fremito, e l'artista ne avverte la linfa vitale: «Se la guardi un attimo, è finita: tu hai già il concetto di quello che è. Se invece la trascuri, allora, a un dato momento, senza volerlo, si scopre e sente il desiderio di essere amata». In questo rapporto fra l'uomo e l'opera, fra il profilo dell'Amante morta, di una sorprendente classicità, e il capolavoro Donna che nuota sott'acqua, si determina la vera, insostituibile, decisiva, misura del linguaggio di Martini, del suo «parlare» con l'opera e dell'opera avvertire gli stimoli, i segnali, le pulsanti emozioni che si traducono in uno sguardo o nella vibrazione di un sorriso. In particolare, nel gruppo di terrecotte si configurano la sua personalità, i processi formativi e quella ricca immaginazione che nei primi Anni Venti trova pieno riscontro nei suoi lavori: «Ora sono nella nuova stagione e mi abbandono questa volta più delle altre all'istinto, canto e lavoro e non so cosa pensare di tanta facilità nel produrre, e potrei dire che sbaglio o rifaccio rarissimo». Del resto Martini credeva nell'artista-operaio, in una poesia che scaturisce dalla propria natura d'uomo: «Il mestiere sarebbe questo: saper fare una mano avulsa dal complesso espressivo. Io non la so fare. Se invece lo spirito urge, la mano sollecitata da quella urgenza la so fare. Quando pensi che tutte le mattine uno scultore si trova davanti alla creta, che è meno di una pagina bianca, che è una cosa sporca, il vocabolario egli deve inventarselo ogni giorno; e poi gli serve soltanto per quella statua». E' questo, il clima dell'impegno di Martini, il modo di plasmare la materia e dalla materia trarre le intime rispondenze, un atteggiamento, un gesto che delinea gli Amanti e Ofelia (presente alla Biennale romana del 1925), La Pisana del 1928 e La Lupa del 1930/31. Il valore del modellato si configura con una vicenda che si snoda dal Salon d'Automne del 1912 all'esposizione veneziana dell'anno successivo, dall'adesione a «Valori Plastici» (1919-1920) alla prima personale, presentata da Carrà, alla Galleria di via Dante a Milano (1920). Nel 1931 gli venne assegnato il gran premio per la scultura alla la Quadriennale di Roma. Scomparso nel 1947, Arturo Martini rappresenta gli aspetti di una cultura e di un'arte capace di affermarsi nel contesto della scultura contemporanea, di elevarsi al di sopra della realtà oggettiva mediante un'avvincente comunicabilità, una linea che si tende per circoscrivere fanciulle e dormienti e teste che vivono nello spazio la loro mitica stagione. Angelo Mistrangek» de. ete. , x Stout. rturo ante morta» atinato, Nella foto grande. Tino Buazzelli, nei panni di Nero Wolfe, di cui fu celebre interprete. In alto a destra, lo scrittore Rex Stout. Qui accanto, Arturo Martini: «L'amante morta» ( 1922, gesso patinato, particolare)

Luoghi citati: Aosta, Benin, Milano, Roma, Treviso, Valle D'aosta, Venezia