I maestri scultori dell'Africa nera

I maestri scultori dell'Africa nera Presto a Firenze opere di due millenni: parla Ezio Bassani, il curatore della mostra I maestri scultori dell'Africa nera Non sapevano scrivere, eppure creavano capolavori FIRENZE. Il 15 luglio si inaugura al Forte Belvedere «La grande scultura dell'Africa nera». Rimarrà aperta fino al 29 ottobre. Circa 160 opere, avori, pietre, legni, terrecotte, dal primo secolo avanti Cristo ai primi trent'anni del 1900, provenienti dai più importanti musei e collezioni private europee, proveranno che anche l'Africa «preletterata», cioè priva di scrittura fino a tempi recenti, è stata capace di produrre per secoli arte di altissima qualità. Promossa dal Centro Mostre, realizzata da Artificio, finanziata da Fondiaria, e curata da Ezio Bassani, uno dei maggiori esperti e direttore del Centro di Studi delle Arti Africane dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze e curatore con William B. Fagg di un'altra grande rassegna in corso attualmente a Houston («Africa and the Renissance Art in Ivory»), Per sottolineare l'interes se crescente per l'arte afri cana ricordiamo che il 13 lu glio si apre a Marsiglia (Mu sée de la Vieille Charité, sino al 1° ottobre) un'importante esposizione («Regarde africani sur l'art africain») con pezzi delle importanti raccolte dei musei marsigliesi, a cura di un conservatore africano, che vive e lavora in Africa. Una visione forse diversa dal solito e un primo passo ver- M so la costituzione ' §g ■ dl Ditit del Dipartimento di Arti africane dell'Oceania, di Marsiglia. Il a scultura nera come arte dunque e non come testimonianza etnografica. «Finalmente», dice sod I disfatto Ezio Bassani, che in questi giorni fa la spola tra Varese, dove abita, e Firenze per dare gli ultimi tocchi al catalogo. Lo incontriamo alla casa editrice, nascosto in un giardino della vecchia Firenze. «Dagli Anni 80 la tendenza si è accentuata, nell'82 ad esempio, è stata inaugurata al Metropolitan di New York la "Rockfeller Wing", che espone le sculture degli artisti negri accanto ai capolavori europei e asiatici di ogni epoca, nell'87 è nato il grande Museo delle Arti africane a Washington. Vere conquiste se si pensa che l'arte nera è stata relegata nei musei etnografici accanto alle trappole per topi. Ma come si fa a non considerarle opere d'arte?». E tira fuori un pacco di riproduzioni bellissime e di grande effetto. «Con questa mostra vogliamo dimostrarlo». Quando e in che modo è nata l'idea? «Quindici anni fa, con Ragghiami. Gli italiani, dicevamo tra noi, hanno rare occasioni di conoscere la scultura africana, poco presente nelle collezioni pubbliche, assente quasi del tutto in quelle private. Bisognava presentarla per sfatare l'idea che si trattasse di statuette primitive valide solo come documento di una civiltà. Così abbiamo fatto arrivare nell'84, a Palazzo Strozzi, la mostra "Tesori dell'antica Nigeria", di cui quella di oggi è in un certo senso la continuazio- Come mai questa indifferenza dell'Italia rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Germania, Belgio, Inghilterra? «Per molte ragioni: la tardiva e marginale partecipazione alle imprese coloniali. E poi, i nostri artisti di inizio secolo non hanno scoperto l'arte negra come cubisti ed espressionisti in Francia e Germania, anche se i futuristi nei loro soggiorni a Parigi e a Berlino ne sono venuti a contatto. L'unico è stato Carrà, che però nel '14 e nel '21 esprime giudizi negativi sul negrismo dei francesi. Insomma in Italia erano pochi i "campioni attivi e intelligenti della causa africana" come scrive Paul Guillaume nel 1919. Manifestazioni di un certo rilievo, le mostre del '22 a Venezia e di arte congolese a Roma nel '50 e '59». Nell'84 a Palazzo Strozzi erano esposte opere antiche. In questa? I «Soprattutto del 1800 e 1900, ! quelle che hanno influenzato le avanguardie, da Picasso a Modigliani, da Ernst a Moore e che |nell'84 erano assenti: ne proponiamo una scelta. Ma, per sottolineare che l'arte in Africa esisteva anche prima ci sono una ventina di opere dal primo secolo avanti Cristo al XVII, riaffiorate in questi anni da scavi archeologici, lavori agricoli o giunti nelle collezioni per altre vie». Come saranno ordinate in mostra? «Non per cronologia: datarle è ancora molto difficile per mancanza di fonti scritte. Non per tema, perché i simboli (maschere, defunti o antenati, maternità, figure) sono ancora ignoti e si stanno mettendo in luce nuove, diverse interpretazioni. L'unico criterio valido è sembrato quello geografico: un lungo, ricco percorso attraverso le popolazioni dell'Africa CentroOccidentale e Meridionale, dalla Guinea al Madagascar». Ci saranno due grandi sezioni. Nella prima? «Le sculture antiche, datate con l'analisi del carbonio 14 e della termoluminescenza o attraverso rari elementi storici, documentari, stilistici: terracotte di Nok in Nigeria del 300 a. C200 d. C, di Djenné (Mali) del 1200-1500, pietre della Sierra Leone, bronzi del Benin, portati in Europa dopo la spedizione punitiva britannica del 1897. E gli avori afro-portoghesi di eccezionale raffinatezza commissionati nel 1500 a scultori africani da viaggiatori europei per i loro signori. Troveremo anche un paio di preziosi corni da caccia e cinque cucchiai nigeriani della collezione di Cosimo I de Medici». E nella seconda, la più ricca? «Circa 130 opere del 1800 e dei primi 30 anni del 1900 appartenenti a 64 gruppi etnici — non molti, se consideriamo le migliaia formati anche solo da 5000 abitanti — di cui si vuole mostrare il particolare codice espressivo». E l'arte dei nostri giorni? «Non l'abbiamo considerata, perché dopo le imprese coloniali e le due ultime guerre mondiali ha perso le sue caratteristiche, si è commercializzata o occidentalizzata». Quali i criteri nella scelta delle opere? «Sono state raggruppate più testimonianze di una stessa regione, di uno stesso Paese o di uno stesso artista, per mettere in evidenza i tratti comuni, ma anche l'originalità di ciascuno, le differenze. Proprio come si fa nell'arte occidentale quando si studia un territorio vergine». Che cosa è emerso? «Grande creatività e soprattutto estrema diversificazione di forme anche nell'ambito dello stesso gruppo etnico: le maschere dei Toma e dei Dan, due popolazioni della Liberia, sono ad esempio diversissime. Ma anche tra gli stessi Dan ci sono differenze, che rivelano un linguaggio figurativo complesso e la presenza di varie personalità. In Africa, del resto, è mancata l'azione unificatrice della religione come in Occidente e in Oriente, e ogni popolo ha una sua cultura». Ci sono caratteri tipici nell'arte negra? «Sì, l'astrazione, la monumentalità, il simbolismo: fatti che sono apparsi rivoluzionari agli artisti francesi e tedeschi, ma che invece rispondevano a regole e tradizioni secolari. La storia della lenta evoluzione dell'arte negra è. tutta da, studiare». Esiste oggi una storia dell'arte scritta da africani o è solo occidentale? «No, non esiste. I pochi africani che se ne occupano sono condizionati dalla nostra mentalità. Gli studi in Europa e in America stanno facendo grandi passi avanti grazie al mercato sempre più vivace: un'opera d'arte negra può essere valutata miliardi. Le difficoltà sono la mancanza di documenti scritti e la trasformazione della società africana, incapace oggi di riconoscere i suoi simboli e di ricordare le sue storie orali». Sarà possibile ricostruirla? «Forse sì, magari catalogando con l'uso del computer le migliaia di opere rimaste: il Museo nazionale di Washington possiede 150 mila fotografie. Individuati le scuole, i maestri, le culture, si troveranno sul luogo piccole e impercettibili tracce che col tempo potranno ritessere quella splendida e millenaria storia artistica». Lavoro da pionieri, difficile e affascinante. Maurizia Tazartes in le è an per cheternoti uce oni. emuno le trodalcudi2012LinpuglcesicaloucidM de rassegna in corso attualmente a Houston («Africa and the Renissance Art in Ivory»), Per sottolineare l'interes se crescente per l'arte afri cana ricordiamo che il 13 lu glio si apre a Marsiglia (Mu sée de la Vieille Charité, sino al 1° ottobre) un'importante esposizione («Regarde africani sur l'art africain») con pezzi delle importanti raccolte dei musei marsigliesi, a cura di un conservatore africano, che vive e lavora in Africa. Una visione forse diversa dal solito e un primo passo ver- M so la costituzione ' §g ■ del Dipartimento di Arti africane dell'Oceania, di Marsiglia. un CraFIn«Pemarimpartino cubFrafuturigiconchemesmItalattafriGuziostrconNecI «So! quavadig|nelniatol Figura Inginocchiata, terracotta della popolazione Djenné, Mali. Proviene da una collezione privata belgaIn alto, a destra: maschera in legno scolpita da un artista della tribù Kete nelio Zaire (regione del fiume Sankura) Nel 1906 gli artisti della scuola di Parigi e gli espressionisti tedeschi «scoprono» l'arte africana. Tirano fuori dalle botteghe di antiquari e rigattieri «feticci», «idoli», fino allora guardati a belgano Kete nkura) con sospetti e lampanate scutronchi d'albedri dai seni apmetriche figutrasformano in