Tra indios, giungle e diamanti

Tra indios, giungle e diamanti Alfonso Vìnci ultimo avventuriero, scrittore, geologo, da Como all'Amazzonia Tra indios, giungle e diamanti Biografia di un personaggio incredibile TORINO. Alfonso Vinci, comasco, classe 1915, geologo, scrittore, alpinista, antropologo, esploratore, fotografo. Ancora cinque anni fa, sulla settantina, naufraga sul fiume Congo mentre in gommone effettua una ricognizione idro-geologica. L'anno dopo, per togliersi una vecchia curiosità, attraversa a piedi il Borneo con due amici. Da ragazzo, divoratore di Salgari, segnava l'atlante di complessi itinerari in Amazzonia e in Malesia. Itinerari che ha poi percorsi tutti, insieme a molti altri, ai quattro angoli del globo. Personaggio extra strong, brado, dotato di una vitalità intensa, della dote rara dell'ironia, pragmatista, visionario e concreto, è sempre stato un free lance, un libero professionista. Tutta la vita con la valigia in mano da un aeroporto all'altro, cavaliere solitario, scrittore isolato, renitente alle mode, senza legacci. Più vicino ai colleghi sudamericani (Scorza, Màrquez, Amado), che all'Europa. Non molto alto, occhi azzurri, ha così tante cose da raccontare che si permette la modestia. 0 meglio, considera la sua vita, la vita in generale, con il dovuto distacco. Non con sufficienza, ma con la consapevolezza di quanto tutto sia relativo, instabile, precario. Prima della guerra fu ottimo alpinista. Una bella via al Cengalo nelle Dolomiti, porta ancora il suo nome. Lo spigolo Vinci. Nel 1938 era sottotenente degli alpini a Susa, in giro per la valle con una colonna di muli. Dopo l'8 settembre del '43, per tornare a casa, va a piedi da Lione alla Valtellina. Partecipa alla Resistenza. Alla fine della guerra scende a valle come comandante di tre brigate Garibaldi. Nel '47, con in tasca due lauree (lettere e filosofia e geologia), e 200 dollari parte per il Venezuela. Comincia un'esistenza tutta da raccontare. Da cercatore di minerali (compresi oro e diamanti) a docente all'Università di Merida a consulente del Banco Mondiale di Washington e del Banco Asiatico. Un lavoro che consiste nel sondare territori, sempre fuori mar^o, nel Terzo Mondo, per progetti di dighe, strade, impianti idroelettrici. L'occasione per parlare di Vinci, personaggio schivo e imprendibile, sempre per savane e foreste, viene dalla riedizione per i tipi della torinese Vivalda Editori di uno dei suoi libri più famosi «Samatari», (nome di una piccola tribù di indios nell'Amazzonia venezuelana), edito nel '56 e tradotto in una decina di lingue. E' la storia di tre spedizioni nei territori quasi vergini dell'alto Orinoco. Vinci cercava diamanti (nelle giungle a Sud-Est di Ciudad Bolivar scovò il più grande giacimento del Paese) e nel frattempo conobbe isolate tribù di indios, personaggi della selva, mineros, missionari, avventurieri. Dopo la scoperta, che provocò una furibonda corsa di migliaia di cercatori, fuggì fortunosamente dal giacimento — ormai piantonato dai militari — con una bottiglietta di Coca Cola piena di diamanti grezzi. Pochi giorni dopo era a Capri in vacanza. «Il libro — scrive Vinci nella prefazione alla nuova edizione — può arricchire la conoscenza e aiutare a rispondere alla domanda: è possibile preservare oggi una popolazione indifesa e ignorante in una qualsiasi regione di questo nostro maltrattato pianeta, dal trionfante messaggio del mondo occidentale?». Oggi Vinci è uno dei maggiori conoscitori della realtà latinoamericana e dell'Amazzonia in particolare. Ne scrisse con grande acutezza trent'anni fa, quando il problema ambientale era ancora materia per pochi specialisti. E' preoccupato come tutti per il genocidio degli indios e la distruzione della foresta, ma non drammatizza: «Ricordiamoci che la foresta amazzonica non è l'unico grande polmone della terra. C'è la taiga siberiana che è anche più grande, ci sono le alghe in mare. Oggi c'è questo grande difetto nell'informazione. Che procede con enfasi e molta superficialità per schemi e argomenti, in cicli che si ripetono e si accavallano. Il buco nell'ozono, la spazzatura, l'Amazzonia, l'aids. Non esistono più i fatti, ma l'idea che si fanno degli stessi i vari opinion makers e i mass media. E non sempre le due cose coincidono». «Samatari» è un grande libro, che non risente degli anni. Fu scritto di getto in due settimane e si stenta a crederlo, tale è la qualità della prosa e la ricchezza d'informazioni (anche botaniche e geologiche), precise, mai pedanti. Un grande amore, la foresta, vissuta dal di dentro con camminate di mesi, discese sui fiumi, bivacchi tra la pazza vegetazione di una selva primi¬ genia: «...Nectandre dal legno profumato come incenso, Taccamacche che nelle notti fredde sublimano balsami cristallini, Cedri che il fulmine apre come un colpo di scure. Kapok e ce¬ cropie di rapida crescita, Annonacee nervose come l'acciaio, Ebani che si difendono nell'ottusa durezza del legno... Un popolo di cellulosa e clorofilla, grande, poderoso, senza fine, ai quale un esercito di storpi, gobbi, ciechi, falsari, sciancati, parassiti, lenoni, avvelenatori, tossicomani, invertebrati fisici e morali, sgualdrine di tutti i generi e di tutte le forme dà l'assalto con una violenza e un'intensità alla quale solo la dirittura e la chiarezza dei grandi alberi può resistere...». Una lettura consigliatissima a quanti s'interessano del gran bosco amazzonico e agli indios, ormai in via definitiva d'estinzione. Oggi Vinci continua a girare il mondo. Qualche lavoro lo ha fatto anche in Italia. Una decina di anni fa compì i primi rilievi geologici per la costruenda autostrada del Fréjus, in quella valle di Susa che percorse da alpino, ai tempi del duce. Ha una casa a Barzanò, in provincia di Como, un figlio sposato a Roma (ma è un sedentario), e una figlia più sportiva che ha ereditato dal padre la passione per la montagna e i grandi spazi. Torna volentieri in Italia, ma non ha mai sofferto di nostalgie. «Per me — dice — la condizione migliore è essere sempre uno straniero, dovunque». Scrivere è sempre stata un'attività importante, necessaria e complementare alle indagini su acrocori e altipiani, cascate e bacini alluvionali. «Samatari» fu il primo di una trilogia dedicata al continente latino-americano. Seguirono infatti «Diamanti» del '57 (fatti e personaggi del mondo dei cercatori, wilderness di professionisti e disperati, tutt'ora vegeto ed esistente), e «Cordigliera» del 1959, lungo reportage Su una serie di ascensioni andine, in Venezuela, Colombia, Ecuador e Perù. Tra l'altro Vinci fu il primo a vincere la parete Nord del Picco Bolivar sulle Ande venezuelane (oltre 5 mila metri), suscitando un putiferio di polemiche, uscendone alla fine come un eroe. Nel 1973 esce per la Rizzoli «L'acqua, la danza, la cenere», allegorie di diverse condizioni e situazioni, vissute e riscritte in chiave mitica. Negli Anni 80 fu la volta di «Lettere tropicali», (Mondadori, ormai introvabile), singolarissima raccolta di corripondenza fra Vinci e amici italiani soprattutto i Guzzi (queli delle moto) e i Locatela' (quelli dei latticini). Un libro maturo, ironico, saggio, istruttivo, scivolato ingiustamente senza clamore tra la produzione editoriale italiana. Per la prossima primavera si annuncia un nuovo lavoro. «L'altopiano del rhum», questa volta un romanzo. Il manoscritto è già nelle mani dell'editore Giorgio Vivalda. Potrebbe essere un best seller. Renato Scagliola Alfonso Vìnci tra l'editore Giorgio Vivalda e il giornalista Enrico Ca marmi