Quello slow-sorriso

Quello slow-sorriso Gorbaciov e il Medio Oriente Quello slow-sorriso Il duro ma preoccupato discorso di Gorbaciov alla Nazione, pronunciato all'immediata vigilia di uno dei suoi frequenti viaggi all'estero (a Parigi) che certamente lo vedrà, ancora una volta, protagonista, sollecita un discorso non proprio peregrino. I grandi leader, grandi in senso dimensionale, ricavano poco o nulla dei loro successi esterni: politici e di immagine. Nixon, il già celebratissimo «re Riccardo» finì ingloriosamente; lo statista che aveva riaperto la porta della Cina e che, pur sfrattando l'Urss dal Medio Oriente, era riuscito a coinvolgerla nella distensione, rimase travolto da una meschina faida interna, il famoso Watergate. Krusciov, ancorché istrionesca mente, portò all'attenzione rispettosa del mondo la «Russia del disgelo» allontanando lo spettro della terza guerra mondiale, ma scivolò sulla buccia di banana dell'ennesimo fallimento economico, nella fattispecie agricolo. La perestrojka di Gorbaciov, con la conseguente glasnost ha affascinato il mondo (anche quello socialista) più di quanto non abbia impressionato i russi. Grazie alla perestrojka possiamo sperare in un lungo presente tranquillo propedeutico di un lunghissimo futuro pacifico. Grazie al dinamismo di Gorbaciov, che ha incrinato il pericoloso «machismo» del diffidente Grande Comunicatore, parole quali «disarmo», «pace» riconquistano il loro significato più autentico già perduto nei marosi d'una avventuristica storia contemporanea. Nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, Mosca ruppe con Israele, riarmò l'Egitto e la Siria. Ma nel 1979 con la pace, sia pure monca, patrocinata dal presidente Carter, Sadat entrò da centometrista nel campo americano, dove l'Egitto continua a rimanere. E due Paesi che in Medio Oriente contano assai voltarono decisamente le spalle all'Urss dopo l'improvvida invasione dell'Afghanistan. A Mosca, nel composito e nevralgico scacchiere mediorientale non rimanevano che l'imprevedibile Siria dell'enigmatico presidente Assad, l'erratico Gheddafi che non ha mai fatto mistero della sua avversione per i russi, e i litigiosi arabi-marxisti del Sud Yemen. Un po' poco per la seconda potenza mondiale. Ebbene, dopo una vera e propria anticamera durata più di vent'anni, grazie alla saggia politica del realismo gorbacioviano, eseguita sui ritmi dello slow-sorriso da Shevardnadze, un ministro degli Esteri sul quale nessuno avrebbe scommesso un copeko, l'Unione Sovietica è rientrata in forze nel Medio Oriente. Tutto comincia dall'Afghanistan ch'è la pietra tombale dell'arteriosclerotica avventura politica di Breznev e dei suoi effimeri successori. In febbraio, esattamente due giorni dopo la partenza da Kabul dell'ultimo soldatino russo, Shevardnadze comincia il gran tour mediorientale. «Criniera bianca» visita il più filo-occidentale dei capi arabi, Hussein di Giordania, riallaccia con l'Egitto e incanta addirittura il vecchio Khomeini. All'imam, che lo riceve nella sua stanza-infermeria, il ministro degli Esteri del «Grande Satana bis» spiega come egualmente il comunismo sia una «religione laica» che con lo Sciismo ha in comune la promozione dell'uomo, la protesta contro l'ingiustizia sociale; come l'atea Russia ammetta il «diritto a Dio» che trova, del rèsto, conferma nel sempre più frequente richiamo allo stesso, anche pubblico, da parte del compagno Gorbaciov... Certamente il ritorno dell'Urss in Medio Oriente è stato facilitato dall'avvento di Bush alla Casa Bianca. Ma se ancora si è lontani da quello che l'Economist chiama il «super powerconsensus» in Medio Oriente, è pur vero come Mosca stia contribuendo ad allentare la tensione laggiù. Si deve, infatti, alle pressioni di Gorbaciov se Arafat ha ripudiato il terrorismo fine a se stesso, se l'Olp ha riconosciuto lo Stato di Israele, se Assad sembra aver dismesso la tentazione di assestare una mazzata a Israele, che Gheddafi si sarebbe convinto che aiutare terroristi truccati da patrioti non rende. C'è poi il mega-accordo tra Mosca e Teheran che autorizza sperare in un postkhomeinismo meno imprevedibile. E «last but non least» c'è il lento riavvicinamento tra Mosca e Gerusalemme che consente a Bush di trattare con Israele senza più complessi di sudditanza psicologica per giungere un giorno a considerare Israele alla stregua di un Paese mediorientale come un altro, non più come l'antidemonio caro all'American Legion di Reagan. Quanto sta accadendo in Unione Sovietica sotto la spinta della perestrojka, che la glasnost esalta, mette in forse la sopravvivenza politica di un uomo, Gorbaciov, che a dir poco non è compreso dai suoi concittadini ed è certamente odiato dai sicofanti della burocrazia del partito unico. Il dramma di quest'uomo è che per appagare la «fame di democrazia» dovrebbe esser costretto a imporla e per di più con metodi zaristi. Il dramma di quest'uomo è che al russo qualunque non importa nulla della nuova immagine dell'Unione Sovietica nel mondo non fosse altro perché i negozi continuano a rimaner vuoti. Insomma il «demone della democrazia» aiuta i secessio- IgorMan CONTINUA A PAGINA 2 3» COLONNA