Alza la testa l'Africa d'America

Alza la testa l'Africa d'America Trent'anni dopo le lotte per l'integrazione i negri Usa chiedono il riconoscimento della loro cultura d'origine Alza la testa l'Africa d'America E negli atenei tornano le croci del Ku KluxKlan WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Domenica scorsa, il reverendo George Stallings ha celebrato una delle Messe più singolari della storia della Chiesa cattolica. Per quattro ore, vestiti di tuniche bianche, il prete e centinaia di suoi fedeli hanno cantato e ballato al suono dei tamburi nell'Imam Tempie, il Tempio della Fede. Don Stallings ha pregato e somministrato l'Eucarestia, recitato le nenie degli schiavi e versato vino sulle simboliche uve degli antenati. L'Imani Tempie traboccava di negri giunti a Washington da tutte le parti dell'America: per loro, nonostante il divieto del suo superiore, il cardinale Hickey, il reverendo George Stallings, anch'egli negro, ha officiato la prima Messa afro-americana del secolo. Afro-americano. Alla vigilia degli Anni 90 questo concetto è diventato il motore della protesta nera, come quello di «Black Power», Potere Nero, negli Anni 60. A differenza delle Pantere Nere, che si ispiravano ora a Marx e Lenin, ora a Mao Tsetung e a Ho Chi Minh, ora a Castro e Malcolm X, la contestazione razziale oggi attinge alle radici africane della minoranza più numerosa d'America, quasi 29 milioni di anime, il 12 per cento della popolazione. I negri americani non rivendicano soltanto la piena parità dei diritti civili ma anche l'au¬ tonomia culturale. Oltre che contro la discriminazione, si battono contro il modello della società bianca. La prima Messa afro-americana di don Stallings, filmata dalle tv e fotografata dai giornali, ha destato sensazione nell'America conservatrice del dopo-Reagan. Ma essa è solo l'ultima espressione di un movimento che, a vent'anni dall'assassinio di Martin Luther King, sta risvegliando la coscienza nera. Da mesi, viene pubblicato in tutta l'America un settimanale, «The Afro American», che ha l'ambizione di fare da ponte tra gli Stati Uniti e il Continente Nero, «e a restituire ai negri americani l'identità perduta» come dice Jesse Jackson. Da mesi, circolano nei ghetti la letteratura moderna e i documenti politici africani. In parte, il cambiamento si riflette nel costume. Sono di moda la pettinatura afro, le tuniche sgargianti, i canti tribali, i club ispirati ai grandi africani come Kenyatta. Ma l'impatto principale è politico. Proprio Jesse Jackson ha proposto che non si parli più di «black americans», bensì di «afro americans». Il leader nero ha chiesto che l'attenzione del partito democratico si sposti sull'Africa dall'Asia e dall'America Latina. «Studiate la nostra storia» ha detto ai ragazzi nelle scuole di Chicago. «Siate portatori all'America della nostra ci- viltà». E' una rivalsa storica: i discendenti degli schiavi accampano origini più nobili e antiche di quelle degli ex padroni bianchi. I primi rigurgiti razzisti si sono verificati alle università. In quella del Michigan, ad Ann Arbor prèsso Detroit, la radio degli studenti ha incominciato a irridere ai negri. Sui muri dei dormitori e nelle aule sono comparse svastiche naziste, croci del Klu Klux Klan, slogan antiafricani. Tafferugli sono scoppiati sui campi da gioco e durante gli esami. Juliette Meek, un'attivista nera, ha definito gli attacchi un segno di paura: «L'afro-americanesimo è una realtà sconosciuta, l'establishment bianco si chiede dove porti». Dall'Università del Michigan, i torbidi si sono trasmessi a quella di Stanford in California, all'Università del Massachusetts, a quella della Pennsylvania, a quella del Wisconsin. Per la prima volta in un ventennio, i giovani neri hanno però reagito alla violenza. «Morto Martin Luther King — ci ha detto Juliette Meek — le generazioni prima di noi si sono arrese e hanno cercato l'evasione nella criminalità e nella droga... L'afro-americanesimo ci ha ridato l'orgoglio e la forza perduti: non si tratta solo più di mostrare che non siamo cittadini di serie B, ma anche che meritiamo un riconoscimento speciale per la nostra etnia». Sebbene costituisca solo il 2-3 per cento della popolazione universitaria, gli studenti negri sono stati così compatti da costringere i colleges e i rettori a legiferare a loro favore. Il dibattito più acceso oggi all'università riguarda il documento dell'ateneo del Michigan contro la «discriminazione e l'aggressione verbali» nei confronti della minoranza nera. In nome dell'afro-americanesimo, ha rialzato il capo anche l'inteUighenzia nera. A parte il fumettone «Batman», che ubriaca un'America senza veri eroi, il film di maggior successo critico è «Do the right thing», «Fa la cosa giusta», del giovane regista nero Spike Lee. Il film è un'acre denuncia del razzismo, vissuto nel difficile rapporto tra la comunità italo-americana e quella nera del rione di Bedford Stuyvesant a New York. Si chiude con un ambiguo appello sia all'insegnamento pacifista di Martin Luther King, sia a quello rivoluzionario di Malcolm X. «Il fatto che il film provochi un dibattito nazionale — ha commentato Juliette Meek — tradisce l'allarme dell'America bianca di fronte all'afroamericanesimo». L'insigne giurista Gerald Gunther dell'Università di Stanford nota che i contatti tra i neri d'America e l'Africa si stanno intensificando, con scambi di visite di delegazioni politiche, con festival annuali di arte africana in America — il più celebre è quello di Baltimora — con progetti di collaborazione economica. Gunther pronostica l'avvento di una generazione di «giovani arrabbiati» che sostituirà gli attuali «zii Tom» alla guida del popolo nero. Gli «zii Tom» — così li chiamano sprezzantemente nei ghetti — sono i neri di potere come l'ex ministro dell'Edilizia pubblica Pierce o l'attuale segretario del partito democratico Brown: molti li accusano di non fare «la cosa giusta» per la loro razza. . Gunther, che ha il polso della vita universitaria, aggiunge che nel Duemila un terzo di tutti gli studenti americani sarà composto dalle varie minoranze. «Il concetto di integrazione razziale — afferma — subirà profonde modifiche. Non basterà più che lo Stato restituisca ai neri, agli ispano-americani, agli asiatici quei diritti civili che il reaganismo e la Corte Suprema hanno corroso. Bisognerà anche che accetti e protegga le loro differenze culturali. Il mito del crogiolo americano — conclude il giurista — è stato sinora interpretato a senso unico, come allineamento degli ultimi venuti alle regole di condotta della maggioranza bianca, e più esattamente anglosassone. In futuro occorrerà creare un mosaico, reso più vivo e più bello dalla diversità di tutte le sue parti». Ennio Carette Il reverendo Stallings, leader dell'lmani Tempie, la Chiesa afroamericana