Alle Polonia resta soltanto Bush

Alla Polonia resta soltanto Bush fl presidente americano stasera a Varsàvia* trova un Paese allo sfascio economico Alla Polonia resta soltanto Bush «Senza i soldi dell'Ovest non si va avanti» VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Drammatica, catastrofica, al limite del collasso. Forse addirittura irrecuperabile a meno di un miracolo, sicuramente peggiorata nei 21 mesi trascorsi dall'ultimo viaggio di George Bush a Varsavia. E' il quadro a tinte fosche, disperante, della situazione economica polacca, a poche ore dall'arrivo del Presidente americano, che contrasta in modo stridente con l'apertura politica avviata dal regime comunista più all'avanguardia dell'Europa Orientale. Rispetto al settembre 1987, quando l'allora vice di Ronald Reagan si incontrò a Varsavia con il generale Jaruzelski, le riforme varate dalle autorità non hanno inciso sulla precaria congiuntura nazionale, poche misure di facciata (congelamento dei prezzi e dei salari, indicizzazione del caro vita), hanno alleviato in minima parte i guasti della passata malconduzione senza fugare lo stato d'incertezza generale diventato anzi più confuso. Neppure il trionfale ingresso di Solidarnosc nel Parlamento, preludio all'inevitabile partecipazione al governo, sembra risolvere i problemi della società. E così continua lo spettacolo della mortificazione quotidiana, cresce la rabbia popolare, si allunga la catena della conflittualità sindacale. Contemporaneamente, la corsa all'accaparra- mento svuota gli scaffali dei negozi, occorrono 25 anni di lista d'attesa per ottenere una casa di pochi metri quadrati e code di ore per riempire il serbatoio della benzina, se la si trova; permane il razionamento della carne, gli operai mugugnano contro gli stipendi da fame, la gente stringe la cinghia per quadrare i bilanci familiari erosi giorno dopo giorno dall'inflazione che sta superando il 100 per cento annuo. «Siamo con l'acqua alla gola», scrive l'organo del partito comunista «Trybuna Ludu». «Qualcuno deve salvarci». Ma chi? Non di certo gli scambi compensativi con l'Unione Sovietica ormai ridotti al lumicino; la boccata d'ossigeno po¬ trebbe giungere unicamente dall'Occidente che vanta tuttavia un credito debitorio di 40 miliardi di dollari ed è molto avaro nella concessione di ulteriori finanziamenti se il sistema interno non muterà da cima a fondo. Governo ed opposizione hanno approntato due piani di salvataggio, piuttosto vicini nella forma e nella sostanza, già inoltrati a Londra, Parigi e Bonn e che verranno sottoposti a Bush con l'invito ad esaminarli durante il vertice economico dei Sette Grandi che si terrà la prossima settimana nella capitale francese. Ambedue i progetti sollecitano tre anni di respiro tramite la dilazione dei ratei sugli interessi in scadenza presso la Banca Mon¬ diale, il Fondo Monetario Internazionale e il pool di 17 banche europee che fanno capo al Club di Parigi. Secondo il potere basterebbero sei miliardi di dollari freschi per stimolare la ripresa e attirare ulteriori capitali stranieri attraverso joint venture. Per Solidarnosc invece, spiega Witold Trzeciakowski, autore del documento messo a punto dagli esperti di Lech Walesa, «l'assistenza breve dovrebbe aggirarsi sui 10 miliardi di dollari. Dovrebbe contenere inoltre l'impegno immediato della liberalizzazione del mercato, porte spalancate all'iniziativa privata e metodi rigorosi d'impiego, altrimenti li sciuperemmo inutilmente e non ci resterebbe che chiedere l'elemosina». L'esempio critico giunge dal settore agroalimentare, il vero polmone della Polonia. All'apparenza sembra sano, rigoglioso nel relativo benessere del mondo contadino; in verità è malato, le terapie della guarigione appaiono assai lontane. Ne parliamo con Zdzislaw Adamczyk-, responsàbile dell'Ufficio economico finanziario al ministero dell'Agricoltura, che ha appena ricevuto i dati sulla massa dei bovini e scuote sconsolato la testa. «Da noi il 76 per cento del terreno coltivabile è in mano a privati. Anni fa le sovvenzioni statali si avvicinavano all'equilibrio fra costi di produzione e ricavi, oggi sono insufficienti, non possediamo altri soldi per sostenerle. Il gettito delle cooperative rurali è crollato, preferiscono immagazzinare i cereali e la carne e attendere che il rimborso salga». Oggi, domenica, nelle campagne sarà il «solito giorno di dolore» dice Jarek Luszinski, proprietario di quattro ettari coltivati a grano. «Caricherò la famiglia sul trattore e la trascinerò con i cavalli fino alla chiesa, per la messa. Sono a secco di carburante da tre settimane. Poi mi piazzerò davanti al televisore per vedere se Bush scende dall'aereo con i dollari nella valigia. Se non li porta, siamo fritti». Piero de Garzarolli