Quali spettatori per il nuovo calcio? di Curzio Maltese

Quali spettatori per il nuovo calcio? La gente diserta sempre più gli stadi e le società si interrogano sui provvedimenti da prendere Quali spettatori per il nuovo calcio? Prezzi più bassi o sulle gradinate troveremo solo ultras Potremmo stupirvi con effetti speciali, disegnare scenari apocalittici. E invece abbiamo da sottoporvi soltanto qualche cifra, per quanto preoccupante. Quest'anno per la prima volta la media degli spettatori delle partite di serie A è scesa sotto le trentamila presenze: 29.567, per la precisione. E' la conferma di una fuga da stadio che ha radici recenti ma una impressionante progressione. Nella stagione '84-'85 la media era di 38.872 spettatori, in quattro anni se ne sono persi 93G5. A nulla è servito rinnovare il parco stranieri, addirittura ampliato con l'apertura al terzo. A poco è valso l'approdo in serie A di Lazio, Atalanta, Lecce e Bologna, che hanno portato un contributo assai rilevante in termini di pubblico. A questi ritmi, se le tendenza continuasse, il popolo del calcio verrebbe dimezzato entro il Duemila, scenderebbe nel primo decennio del secolo a livelli «danesi» o «svizzeri», per estinguersi infine attorno al 2020. Con un leggero slittamento di tempi, verrebbero confermate le peggiori profezie di tanti esperti. A cominciare da coloro che prevedono un crollo di interesse per il calcio subito dopo i Mondiali del '90, con i megastadi allestiti in fretta oggi per trasformarsi dopodomani in solitari monumenti alla follia di un'estate. Come tutti sanno, queste apocalissi annunciate di rado si realizzano. Né pare vicino lo scoppio del pallone. Le società di calcio, tranne qualche eccezione che non riguarda però il vertice, godono di buona salute, pagano sempre di più i giocatori, non hanno mai avuto progetti tanto ambiziosi. Il Milan di Berlusconi, con un occhio rivolto alla Spagna, marcia verso la polisportiva (calcio, pallavolo, rugby, hockey, presto anche basket), l'azionariato popolare, l'acquisto di società satelliti, la costruzione di impianti in proprio. La crisi di spettatori non è insomma crisi del calcio, che invece continua a essere lo spettacolo più amato e pagato dagli italiani. Impoverito il filone degli incassi da botteghino, gli sceicchi del pallone hanno scoperto nuove risorse. I diritti televisivi, innanzitutto. Negli ultimi anni si sono moltiplicati, ma la miniera è ancora tutta da sfruttare. I 50 miliardi pagati dalla Rai per l'esclusiva del campionato di calcio, i 40 sborsati dall'Eurovisione per gli ultimi campionati europei, i 100 fissati come prezzo fìsso (e scontatissimo) per i mondiali da qui al '98, da ripartite attraverso tutte le televisioni del mondo (eccetto le statunitensi), sono cifre irrisorie se paragonate a quelle di qualsiasi altra «produzione di spettacolo». Tanto più che la partita di calcio, in Italia in particolare, è l'unica trasmissione televisiva che non abbia risentito della frammentazione di audience provocata dall'avvento delle emittenti private. Una partita della Nazionale o di Coppa tocca, a volte supera, il tetto dei venti milioni di spettatori. Un telegiornale non varca la soglia dei sette milioni, le tribune politiche e sindacali hanno visto decimarsi l'uditorio, gli show del sabato decollano verso cifre «calcistiche» soltanto in casi particolari (vedi il Fantastico di Celentano o l'ultimo festival di Sanremo). E oltre ai diritti televisivi, crescono i contributi del Totocalcio, degli sponsor, della pubblicità diretta e indiretta. Il pubblico da stadio diventa sempre più contorno, cornice, seppure importantissima. Si può quindi affrontare una fuga da stadio che altri Paesi, tutti gli altri Paesi europei, dalla Danimarca alla Polonia, dalla Germania Federale all'Urss, conoscono da anni e che riguarda anche le coppe europee, salassate di circa 300 mila presenze ogni anno. Il problema vero non è più «quanti» spettatori avrà il nuovo calcio, ma «quali» spettatori. A lanciare l'ultimo allarme è stato l'avvocato Campana, sindacalista dei calciatori: «Le famiglie ormai hanno abbandonato lo stadio, allontanate dalla violenza e dall'eccesso di offerta televisiva». Al cocktail bisogna aggiungere anche il caro prezzi. I biglietti sono aumen¬ tati in media del sedici per cento negli ultimi quattro anni, ben oltre gli indici di inflazione (6,5-7 per cento). Andare allo stadio è un brivido per il cuore come per il portafoglio. Un brivido che soltanto gli ultras sono sempre disposti ad affrontare. Le società da tempo hanno barattato il pubblico «normale», per nulla incoraggiato a staccarsi dalla poltrona di casa (dove sono, da noi, gli stadi-modello con ristorante, parcheggio, negozi, magari baby-sitting?), con i vezzeggiatissimi tifosi da curva e da club organizzato, pericolosi ma fedeli. Almeno finché non hanno avviato la spirale dei ricatti («Tu ci dai i biglietti a prezzi agevolati o ti facciamo squalificare il campo»). Ora il boomerang è tornato sulle teste dei padroni del calcio, che si affannano a trovare rimedi, spesso empirici. Uno già in atto, clandestinamente, e con vari espedienti, sta nelle famose schedature che in Inghilterra hanno provocato tante polemiche. Le società vogliono potersi «scegliere» il pubblico. Magari con offerte di servizi rivolti alle famiglie. In futuro, è inevitabile, sarà necessario anche l'abbassamento dei prezzi e il miglioramento degli impianti. Altrimenti non resta che la via inglese: un calcio per hooligans. Un Medioevo per nulla lontano, a giudicare dalle immagini dello spareggio tra Fiorentina e Roma. L'ultima partita del campionato '88-'89. 0 magari la prima di una sinistra era. Curzio Maltese

Persone citate: Berlusconi, Campana, Celentano