«Mostri? No ragazzi innocenti»

«Mostri? No, ragazzi innocenti» L'ex giudice Imposimato vuole riaprire il caso delle due bimbe uccise a Ponticelli «Mostri? No, ragazzi innocenti» «I tre giovani condannati all'ergastolo non possono aver compiuto il delitto in pochi mmuii» 1 magistrati del processo: «Il senatore è informato poco e male, se ha nuove prove le tiri fuori» minuti» NAPOLI. Ferdinando Imposimato, ex magistrato e oggi senatore del pei, è pronto a giurarlo: tre giovani napoletani languono innocenti in galera, condannati all'ergastolo. Sono Giuseppe La Rocca, Luigi Schiavo e Ciro Imperante. I giudici delle corti d'assise, d'appello e di cassazione hanno stabilito che furono loro i carnefici di Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, due bimbe di dieci e sette anni seviziate, uccise e bruciate nel quartiere periferico di Ponticelli, la sera del due luglio dell'82. A nascondere i corpi li aiutò Salvatore La Rocca, fratello di Giuseppe, che dopo aver confessato ritrattò, sostenendo di essere stato torturato dai carabinieri. Il senatore Imposimato invoca la riapertura delle indagini. Dice che i tre non possono aver compiuto un delitto così complesso in soli 45 minuti, come ha sostenuto l'accusa; che medici esperti, nelle loro perizie, parlarono di un delitto eseguito da un sadico (sul corpo di Barbara furono contate 19 ferite di arma da punta e taglio); che gli inquirenti scagionarono con leggerezza un personaggio già coinvolto in casi di molestie a bambini, Corrado Enrico, fermato l'indomani dell'omicidio e subito rilasciato. Contro Schiavo, Imperante e La Rocca — aggiunge il senatore — esistono soltanto le accuse di un testimone, Carmine Mastrillo: i tre giovani gli avrebbero confessato di aver ucciso Barbara e Nunzia. Si chiede Imposimato: «Perché i responsabili di un delitto così ripugnante avrebbero dovuto confidarsi con una persona che conoscevano appena?». Alfonso Furgiuele, avvocato di parte civile nel processo, non condivide affatto l'iniziativa del senatore Imposimato: «La legge dice che non si può riaprire un processo sul quale si sono pronunciati i tre gradi della magistratura, senza che vi siano nuove prove. Se il senatore è venuto in possesso di nuovi elementi li tiri fuori, e alla svelta». Secondo l'avvocato, inoltre, Imposimato è informato poco e male sulle indagini che portarono in prigione i tre ragazzi: «Si chiede perché mai si siano confidati con Carmine Mastrillo. La risposta è semplice: Mastrillo sapeva che Schiavo, la Rocca e Imperante avevano un appuntamento con le due bambine. Gli assassini, quindi, gli chiesero di tacere». Giovanni Battista Vignola, ex magistrato e oggi avvocato, rappresentò la pubblica accusa nel processo di primo grado. «Era un processo indiziario — ricorda —, e come tale i riscontri della colpevolezza non potevano essere certi. Ma il fatto che i tre gradi del giudizio si siano conclusi con identiche sentenze, significa che vi erano una quantità e una qualità sufficienti di elementi contro gli imputati». Ma quali furono, questi «elementi di colpevolezza» che indussero il pm a chiedere e ottenere tre ergastoli? «Durante le indagini non vi fu alcuna forma di prevenzione contro La Rocca, Imperante e Schiavo — dice Vignola —. Al contrario: i carabinieri sospet¬ tavano un altro personaggio, Corrado Enrico. In un primo momento i tre, che da tempo frequentavano le bambine, furono sentiti come testimoni per trovare conferme delle responsabilità del fermato». Solo in seguito — spiega l'ex magistrato — i sospetti caddero sui giovani. «La prima persona che fece i loro nomi come autori del duplice omicidio fu la fidanzata di Salvatore La Rocca, fratello di Giuseppe. Temeva che il suo ragazzo, fermato in caserma, fosse accusato del delitto. Quindi si precipitò dai carabinieri e disse che Salvatore si era limitato a dare una mano agli altri per disfarsi dei cadaveri». Anche Salvatore La Rocca confessò ma poi fece marcia indietro, sostenendo di essere stato costretto ad accusare il fratello e gli amici dopo inaudite violenze. «Ma l'imputato avrebbe potuto denunciare le torture durante l'interrogatorio fatto dal giudice in carcere — obietta Vignola —. Invece confermò tutto: ritrattò solo sei mesi dopo», [f. mil.l Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo condannati per l'uccisione di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo condannati per l'uccisione di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi

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