I Racconti di Hoffmann rinascono a Spoleto

I Racconti di Hoffmann rinascono a Spoleto Un bellissimo allestimento dell'opera di Offenbach apre il Festival, sul podio David Stani, regista Samaritani I Racconti di Hoffmann rinascono a Spoleto Buona prova dei cantanti Barry McCauley, Alan Held e di Credico SPOLETO DAL NOSTRO INVIATO Nella festosa cornice consueta alle inaugurazioni, il 32° Festival dei due Mondi si è aperto con una bellissima edizione dei Racconti di Hoffmann di Offenbach: dirige un giovane newyorkese che farà strada, David Stahl, regìa, scene e costumi sono di Pierluigi Samaritani che firma qui una delle sue realizzazioni più felici e aderenti alle sue facoltà immaginative. L'opera è cantata naturalmente in francese, ma non si può dire che sia in edizione originale, perché un originale dei Contes d'Hoffmann propriamente non è mai esistito; nessun'opera è stata più manomessa, tagliata, squinternata: già dall'autore che non riuscì mai a completarla, poi dalla tradizione, poi dalla sorte che ha cancellato autografo e copie autorevoli negli incendi del Ringstheater di Vienna e dell'Opéra-Comique di Parigi nel 1881 e 1887. Per questo la regia è tanto importante, per dare contorni e saldezza a una materia che scappa da tutte le parti. Nel 1980, prima il Festival di Salisburgo poi il Comunale di Firenze allestirono l'edizione curata da Oeser che aveva avuto il merito di ripristinare la doppia figura della Musa-Nicklausse: ne usciva più chiaro il senso generale (la Musa si riprende il suo Poeta, come nei Préludes di Lamartine, dopo una serie di disillusioni) e più limpida ne derivava la struttura: cinque atti di cui il primo e l'ultimo, prologo e epilogo, si ponevano come il presente, la realtà di fronte ai ricordi e alle fantasticherie dei «Racconti». Qui nell'edizione Samaritani, eliminata la Musa dal Prologo, la sua identificazione con Nicklausse non si coglie senza previa informazione; ma è l'u¬ nico appunto che solleveremo a una realizzazione di grande presa, vitalità e fantasia. Con Samaritani era scontata la bellezza delle scene: fastosa la prima, dominata dalla mole di Palais Garnier, rabbrividente la seconda, chiusa come una serra sulla vicenda di Antonia, trionfale la terza, con il lussuoso bordello veneziano che sembra uscire da un bagno galvanoplastico, con quel ruscellare di ori verdognoli, tinta dominante del Secondo Impero. Ma al di là del prestigio figurativo, la riuscita è esemplare nella regia, nel ritmo, nel movimento dell'insieme e nell'esattezza di tipi ed episodi particolari. A cominciare dal coro, che è il Westminster Choir consueto al Festival: molti teatri italiani dovrebbero mandare in gita a Spoleto i loro cori per vedere l'entusiasmo con cui questi giovani si prodigano, cantano, recitano, si divertono o si an¬ noiano secondo i casi. Lo spettacolo è frutto di prove lunghe e intense e lo si vede nella disinvoltura e immedesimazione dei cantanti, tutti attori dai protagonisti alle comparse; le figure poi di chiunque rivesta anche una particina, combaciano al cento per cento con i tipi descritti nei libretto (va anche detto però che questa cura del «phisique du ròle» fa parte della tradizione spoletina). Hoffmann è Barry McCauley, in giacchetta di velluto e zazzera bionda come Liszt durante il viaggio in Italia: è un tenore di grandi mezzi, ed è un leone del palcoscenico che negli ultimi quadri ci mette anima e corpo per raffigurare la dannazione (più che l'ironia) del famoso scrittore. Splendido è il basso baritono Alan Held nella quadruplice, maligna parte di Lindorf, Coppelius, Dapertutto e Miracle, e non da meno il nostro Oslavio di Credico nei quattro servitori che ne sono il risvolto comico; le incarnazioni femminili sono affidate a tre cantanti diverse, Elizabeth Vidal (Olympia) che supera di slancio le tremende difficoltà della sua aria di bravura, Veronica Villarroel (eccellente come appassionata Antonia) e Isola Jones (Giulietta), voce da raffinare ma di grande fascino espressivo. Molto brava, per leggerezza e grazia, Brenda Boozer come Nicklausse. David Stahl alla testa della Spoleto Festival Orchestra regola la difficile partitura con grande perizia, e assesta alcuni colpi magistrali: come i toni freddi, cupi, per la patetica scena della morte di Antonia, vittima illibata di un tragico destino. I finali d'atto, spesso affidati al coro, sono scintillanti e hanno provocato l'entusiasmo del pubblico. Giorgio Pestelli Elizabeth Vidal nel ruolo di Olympia supera le difficoltà della sua aria di bravura

Luoghi citati: Firenze, Italia, Olympia, Parigi, Salisburgo, Spoleto, Vienna